TRIDACNA

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TRIDACNA

Tridacna Bruguière, 1797 è un genere di molluschi bivalve della famiglia Cardiidae.

Considerati i più grandi Molluschi Bivalvi viventi, le tridacne possono superare eccezionalmente i due quintali di peso. Esse forniscono un contributo importante alla formazione delle barriere coralline: la loro massiccia conchiglia si incastra saldamente tra le madrepore o le rocce, in cui penetra lentamente man mano che cresce. L’endosimbiosi tra alghe zooxantelle e tridacne è ancor più spettacolare ed efficiente di quella, più celebrata, tra alghe e coralli: una tridacna può coltivare un quantitativo di zooxantelle fino ad oltre dieci volte superiore rispetto a una madrepora ermatipica!

CLASSIFICAZIONE SCIENTIFICA

Dominio Eukaryota

Regno Animalia

Sottoregno Eumetazoa

Superphylum Protostomia

Phylum Mollusca

Classe Bivalvia

Sottoclasse Heterodonta

Ordine Veneroida

Famiglia Cardiidae

Sottofamiglia Tridacninae

Genere Tridacna Bruguière, 1797

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TASSONOMIA

Comprende le seguenti specie:

Tridacna crocea Lamarck, 1819

Tridacna derasa (Röding, 1798)

Tridacna gigas (Linnaeus, 1758)

Tridacna maxima (Röding, 1798)

Tridacna mbalavuana Ladd, 1934

Tridacna ningaloo Penny & Willan, 2014

Tridacna noae (Röding, 1798)

Tridacna rosewateri Sirenko & Scarlato, 1991

Tridacna squamosa Lamarck, 1819

Tridacna squamosina Sturany, 1899

Specie tipo: Chama gigas Linnaeus, 1758

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SINONIMI

Dinodacna Iredale, 1937

DIFFUSIONE

Mari tropicali dell’area Indo-Pacifica.

Gli occhi del mondo sull'Indo-Pacifico - Issuu

HABITAT

Il loro habitat è rappresentato dalle acque basse delle barriere coralline.

Vongola gigante tridacna sott'acqua nella barriera corallina del mar rosso | Foto Premium

DESCRIZIONE

Le tridacne sono dei bivalvi con caratteristiche molto particolari; si sono evolute per sfruttare la stessa nicchia ecologica dei coralli utilizzando esattamente le stesse strategie biologiche: un chiaro esempio di convergenza evolutiva. Entrambi i gruppi animali devono, infatti, adattarsi alle stesse condizioni ambientali: un’acqua particolarmente povera in zooplancton, fonte primaria di cibo. Quindi, per poter crescere in un’acqua così povera di nutrienti hanno dovuto sfruttare l’unica fonte energetica disponibile in abbondanza: la luce solare. Le tridacne sono i più grandi Molluschi Bivalvi viventi, potendo superare occasionalmente il metro di lunghezza e i due quintali di peso. Dopo i coralli ermatipici, con i quali hanno in comune l’endosimbiosi con le alghe zooxantelle, sono tra i principali costruttori delle barriere coralline, grazie alla loro massiccia conchiglia che si incastra saldamente tra le madrepore e le rocce.

La caratteristica conchiglia delle Tridacne è attraversata da un numero variabile di scanalature verticali (generalmente da 4 a 7), che ne rendono il bordo superiore più o meno profondamente ondulato. Alla base inferiore della conchiglia si apre un orifizio contenente una speciale ghiandola che produce filamenti fibrosi grigio-biancastri molto tenaci (il bisso, prodotto anche da molti altri bivalvi di scogliera, come i ben noti mitili o cozze), con i quali la Tridacna si fissa saldamente al substrato, ponendosi sempre con l’apertura delle valve rivolta in alto.

Il bisso è importante soprattutto per i giovani esemplari e per le specie più piccole (T.crocea, T. maxima e T. squamosa), che rischiano altrimenti di essere trascinate via dalla corrente, mentre gli adulti – in particolare delle specie più grandi e massicce, come T. derasa e T. gigas – si insediano progressivamente tra la sabbia e i coralli,grazie al peso della loro conchiglia, senza bisogno di ancoraggi supplementari.

Figure1. (a) Tridacna crocea in the wild, viewed from above (courtesy... | Download Scientific Diagram

L’inconfondibile conchiglia delle tridacne è attraversata da un numero variabile di scanalature verticali, che ne rendono il bordo superiore fortemente ondulato. Alla base inferiore della conchiglia si apre un orifizio contenete la ghiandola bissale, che produce filamenti fibrosi grigio-biancastri molto tenaci (bisso) con i quali la tridacna si fissa saldamente al substrato, ponendosi sempre con l’apertura delle valve rivolta in alto. Il bisso, tipico anche di altri Bivalvi come le ben note cozze o mitili, è importante soprattutto per i giovani esemplari e per le specie più piccole ( T. crocea, T. maxima e T. squamosa), che rischiano altrimenti di essere trascinati via dalla corrente, mentre gli adulti – in particolare delle specie più grandi, come T. derasa e T. gigas – si insediano stabilmente tra la sabbia e i coralli grazie al peso della loro conchiglia, senza bisogno di ancoraggi supplementari.

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Il mollusco comunica con l’esterno tramite un sistema di sifoni: l’acqua entra dal sifone inalante (una fessura provvista o meno di tentacoli lungo il margine) ed esce dal sifone esalante, di forma conica e piuttosto prominente.

Particolarmente sviluppato nelle tridacne è il mantello, fortemente ondulato quando viene estroflesso ed esposto alla luce mediante l’apertura delle valve. Sulla sua superficie sono presenti gli iridofori, speciali organi costituiti da una “lente” che non solo permettono all’animale di percepire i cambiamenti di luminosità dell’ambiente e quindi di modificare la propria esposizione alla luce, ma sono anche responsabili delle suggestive e delicate iridescenze del mantello stesso, che rendono le tridacne davvero uniche.

La brillante colorazione del mantello è dovuta però soprattutto alla presenza di pigmenti di protezione dalle radiazioni ultraviolette, pigmenti di conseguenza abbondanti negli esemplari che vivono in acque molto basse, dove i raggi UV sono scarsamente filtrati e quindi potenzialmente nocivi su lunghe esposizioni; del colore di fondo e delle sfumature brune e giallo-dorate sono invece responsabili principalmente i pigmenti prodotti dalle zooxantelle. La vera bellezza delle tridacne quindi non risiede tanto nella conchiglia quanto nel cosiddetto mantello, il tessuto carnoso dove alloggiano le zooxantelle, che può assumere dei colori e dei disegni spettacolari.

Di per sé le zooxantelle appaiono di colore bruno, mentre le varie tonalità blu, verdi, viola iridescenti sono dovute ai pigmenti che si trovano in cellule specializzate chiamate iridofori. Questi pigmenti servono al bivalve per proteggersi dall’eccessiva radiazione luminosa e dai raggi ultravioletti. Può sembrare paradossale che un animale dipendente completamente dalla luce solare si debba difendere da essa, ma un’eccessiva produzione di ossigeno da parte delle zooxantelle risulterebbe tossica. La funzione degli iridofori è che le zooxantelle ricevano abbastanza luce, ma non troppa.

Oltre che gli iridofori, la brillante colorazione del mantello è dovuta soprattutto alla presenza di pigmenti protettivi contro le radiazioni ultraviolette (particolarmente abbondanti negli esemplari che vivono in acque molto basse, dove i raggi UV sono scarsamente filtrati e quindi potenzialmente nocivi su lunghe esposizioni), mentre del colore di fondo e delle sfumature brune e giallo-dorate sono responsabili principalmente i pigmenti prodotti dalle zooxantelle.

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BIOLOGIA

Sia le tridacne che la maggior parte dei coralli ospitano al loro interno zooxantelle, piccole alghe unicellulari (dinoflagellati) che utilizzano l’energia del sole per produrre il cibo per i loro ospiti. Le alghe unicellulari simbiotiche (zooxanthellae) cedono alle tridacne nutrienti essenziali (glicerina, zuccheri, amminoacidi, fosfati organici),sbarazzando al contempo i loro ospiti di molte sostanze di rifiuto ricche di azoto e fosforo, necessari al metabolismo algale. Una tridacna può ospitare un quantitativo di zooxantelle oltre dieci volte superiore rispetto ad una madrepora ermatipica: in un grande esemplare adulto se ne possono contare fino a un centinaio di milioni!

Tutto ciò è stupefacente se pensiamo che le giovani tridacne, appena metamorfosate dalla larva planctonica (in tutto simile a quella della maggioranza degli altri Molluschi Bivalvi) e pronte ad insediarsi nel substrato per il resto della loro lunga vita, ne sono del tutto prive! Le alghe simbiotiche vengono infatti “catturate” dalle baby tridacne attraverso la filtrazione dell’acqua e quindi “coltivate” all’interno dei loro tessuti, grazie a un vero e proprio sistema canalifero (i tubuli zooxantellari), che parte dalla stomaco diramandosi su tutto il mantello. Una simbiosi dunque molto più complessa di quella osservabile nei coralli, che si limitano a inglobare le zooxantelle nelle proprie cellule. In passato si riteneva che, vista l’origine di tale sistema tubulare dallo stomaco, le tridacne si nutrissero attivamente delle loro zooxantelle.

Oggi questa ipotesi è stata abbandonata, anche se non del tutto esclusa a priori: tecnicamente una tridacna potrebbe digerire senza problemi le proprie alghe simbiotiche, tuttavia esse non rappresentano affatto una componente importante della sua alimentazione, almeno in condizioni normali. Le tridacne presentano infatti la capacità di far transitare nel proprio stomaco le zooxantelle senza intaccarle con i loro enzimi digestivi, mantenendole vive. Negli allevamenti professionali che oramai sorgono un po’ dovunque nell’Indo-Pacifico, alle baby tridacne appena metamorfosate si somministra regolarmente un “frullato” finissimo di tessuto di tridacna adulta, allo scopo di fornir loro l’innesco per sviluppare un’autonoma coltura di zooxantelle! Per “coltivare” al meglio le loro alghe, le tridacne si insediano sempre con le valve rivolte verso l’alto e le aprono nelle ore di luce, sviluppandosi solo in acque relativamente basse o, se piuttosto profonde (comunque mai oltre i 20-30 m), particolarmente limpide.

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Teoricamente una tridacna, anche se di taglia imponente, può crescere e vivere a lungo sfruttando esclusivamente i prodotti del metabolismo delle sue alghe simbiotiche. Tuttavia, il fatto che questi molluschi possiedano un apparato digerente normalmente sviluppato suggerisce che essi siano senz’altro in grado di nutrirsi attivamente (nutrizione eterotrofa), perlomeno in certi casi. E’ infatti dimostrato che quasi tutte le specie possono integrare la loro alimentazione con plancton finissimo (nanoplancton: alghe unicellulari e protozoi di dimensioni comprese tra 5 e 50 u), filtrato attraverso l’acqua. A giovarsi di questa integrazione alimentare sono soprattutto i giovani di un pò tutte le specie (dimensioni della conchiglia entro una decina di centimetri), la cui popolazione di zooxantelle è spesso insufficiente ad assicurare un adeguato tasso di crescita (fino a 9 cm/anno di incremento metrico della conchiglia in T. squamosa, fino a 12 cm/anno in T. gigas): studi specifici in T. gigas hanno evidenziato, ad esempio, che i giovani di 4-5 cm ricavano fino al 65% del carbonio di cui necessitano (essenziale per il carbonato di calcio con cui edificano la propria conchiglia) dal cibo assunto per filtrazione, percentuale quasi dimezzata quando le tridacne assumono attivamente l’azoto e il fosforo dall’acqua (il primo sotto forma sia ammoniacale che nitrica, il secondo sotto forma di fosfati) attraverso cellule specializzate presenti nel mantello.

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Al pari delle madrepore ermatipiche (cioè i principali edificatori delle barriere coralline) infatti, le tridacne sono organismi zooxantellati, ospitano perciò alghe simbiotiche (zooxantelle) di fondamentale importanza per la loro biologia: le zooxantelle, infatti, cedono ai loro ospiti nutrienti essenziali (glicerina, zuccheri, aminoacidi, fosfati organici) sbarazzandoli al contempo di molte sostanze di rifiuto ricche di azoto e fosforo necessari al metabolismo algale.

Le alghe simbiotiche vengono “catturate” dalle giovani tridacne (che alla nascita ne sono prive) attraverso la filtrazione dell’acqua e quindi coltivate all’interno dei loro tessuti, grazie ad un vero e proprio sistema canalifero (i cosiddetti tubuli zooxantellari) che si dirama in tutti i tessuti sufficientemente esposti alla luce, in particolare lungo il mantello.

Coltivano le loro alghe in un sistema speciale

Una tridacna può ospitare un quantitativo di zooxantelle, come abbiamo visto, oltre dieci volte superiore rispetto ad una madrepora ermatipica: probabilmente, è proprio grazie a tale elevatissimo livello di nutrizione che questi Bivalvi possono raggiungere dimensioni così massicce (eccezionalmente oltre i due quintali di peso) in così breve tempo (possono raddoppiare la loro taglia in soli due anni). Per “coltivare” al meglio le loro alghe, le tridacne aprono le valve verso il sole nelle ore di luce e si sviluppano solo in acque basse o particolarmente limpide. Quasi tutte le specie possono comunque integrare la loro alimentazione con plancton finissimo (nannoplancton: alghe unicellulari e protozoi di dimensioni comprese tra 5 e 50 µ), che filtrano attraverso l’acqua.

Tridacna squamosa

Le tridacne sono organismi evolutivamente più progrediti rispetto ai coralli: possiedono organi ben sviluppati e differenziati (come branchie, esofago, stomaco, reni, cuore) ed hanno quindi esigenze e caratteristiche biologiche più complesse. Il maggior grado evolutivo è chiaramente riscontrabile anche dalla posizione che occupano le zooxantelle all’interno dei tessuti: mentre nei coralli esse sono semplicemente inglobate nelle cellule, nelle tridacne come già accennato le alghe unicellulari sono alloggiate all’interno di un apposito sistema di tubuli ciechi, che parte dallo stomaco diramandosi in tutto il mantello. In passato si riteneva che, vista l’originr di tale sistema tubulare dallo stomaco, le tridacne si nutrissero attivamente delle zooxantelle. Attualmente ciò non è ritenuto esatto: anche se teoricamente questi Bivalvi possono digerire senza problemi le proprie alghe simbiotiche, non sembra che esse rappresentino una componente importante nella loro alimentazione. Le tridacne presentano infatti la capacità di far transitare nel proprio stomaco le zooxantelle senza intaccarle con i loro enzimi digestivi, mantenendole vive, e proprio tale capacità viene sfruttata dalle larve appena metamorfosate ed insediate sul fondo dopo aver trascorso un periodo iniziale nel plancton: le piccole tridacne non possedendo zooxantelle (infatti i gameti, che vengono rilasciati in acque libere e si uniscono per formare gli embrioni e quindi le larve planctoniche, non ne sono dotati), devono acquisirle dall’acqua attraverso la filtrazione. Basti pensare che, negli allevamenti professionali, dal quarto giorno di vita le baby tridacne vengono nutrite a più riprese con un “frullato” di tessuto di tridacna adulta, allo scopo di fornirgli le zooxantelle essenziali per la loro sopravvivenza.

Normalmente, gli individui sub-adulti e adulti sono in grado di ottenere dalle alghe simbiotiche la totalità del carbonio organico necessario al loro metabolismo. La nutrizione “extra-zooxantelle” (essenzialmente fito-nannoplanctonica) è attuata soprattutto dagli individui molto giovani e in particolare di quelle specie che presentano sempre una velocità di crescita elevata (come Tridacna gigas o Tridacna squamosa, che possono raggiungere rispettivamente 12 cm/anno e 9 cm/anno di incremento metrico della conchiglia); inoltre, le tridacne assumono attivamente l’azoto e il fosforo dall’acqua (il primo sotto forma sia ammoniacale che nitrica, il secondo sotto forma di fosfati) attraverso cellule specializzate presenti nel mantello.

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ALLEVAMENTO IN ACQUARIO

Le tridacne, negli ultimi tempi, sono diventate ospiti sempre più ricercati dagli appassionati di invertebrati, anche perché con le attuali tecnologie possono crescere e prosperare in acquario al pari dei coralli. Difficile che manchino in un acquario di barriera, purtroppo però vengono spesso allevate in modo errato, raramente replicando in cattività la loro proverbiale longevità in natura.

Ciò che condiziona negativamente l’allevamento delle tridacne in acquario è – nella maggioranza dei casi – l’allestimento delle stesse vasche di barriera, che generalmente riproduce una parete corallina inclinata, tipica della scarpata esterna del reef. Confrontando questo tipo di ambiente con quello in cui prosperano ad esempio Tridacna crocea e T. maxima, due delle tridacne più frequentemente importate, le differenze risultano evidenti. Queste specie prediligono infatti le acque basse e fortemente irradiate della piattaforma corallina e delle lagune interne, dove si sviluppano letteralmente infossate nelle rocce coralline o nei blocchi di coralli massivi viventi (generalmente Porites) che vi sono presenti. Non si trovano quasi mai sulla scarpata esterna del reef, a profondità maggiori di 7-8 metri. Analogo discorso vale per le specie come T. gigas, che amano i fondali piatti e sabbiosi a cui spesso si rinuncia negli acquari di barriera. In realtà, le specie effettivamente adatte alla tipologia di ambiente più diffusa nell’acquario marino sono soltanto due: Tridacna squamosa e T. derasa, quest’ultima probabilmente la più adatta e non a caso considerata la più robusta tra le tridacne, anche se spesso la meno vivacemente colorata.

Buona parte delle vasche di barriera, come detto, oggi si ispirano alla scarpata esterna del reef, riproducendo il più delle volte una tipica parete corallina inclinata, con numerose acropore e altre sclerattinie a piccoli polipi multicolori che crescono fittissimi sulle rocce vive o direttamente sui vetri. In definitiva, le sole specie effettivamente adatte alla tipologia di ambiente più diffusa nell’acquario marino sembrano essere T. squamosa e T. derasa: le altre, andrebbero invece possibilmente allevate solo in vasche allestite con metodi Deep Sand Bed, Jaubert o simili.

l posizionamento delle tridacne rappresenta un altro punto delicato. Frequentemente questi molluschi sono collocati in posizioni poco adatte, a contatto con coralli fortemente urticanti (anche se da questo punto di vista mostrano notevoli capacità di adattamento e resistenza) o – e ciò è assai peggio per questi organismi eliofili, cioè amanti della luce – ombreggiati da altri organismi sessili o inclinati verso il vetro anteriore solo per poter essere meglio apprezzati da chi osserva la vasca.

In natura le tridacne crescono di regola perpendicolari all’irradiamento e molte specie, pur se incastrate con la conchiglia tra rocce e coralli, godono di ampi spazi intorno al margine delle valve, nei quali estendere il mantello. Beninteso, le tridacne danno il meglio di sé negli acquari aperti profondi almeno 60-70 cm, dove si possono ammirare dall’alto e dove un’intensa illuminazione con lampade a vapori metallici (minimo 250 W) o neon T5 soddisferà maggiormente le loro esigenze di luce. Se il colore predominante del mantello è blu o verde e ricco di iridescenze, la tridacna dovrà essere posta nella zona più fortemente illuminata della vasca; al contrario, esemplari di colore bruno o beige si accontentano di meno luce. Spesso occorre procedere per tentativi, ad esempio partendo da un sito più profondo o ai margini del cono di luce per poi spostare man mano il mollusco verso un’illuminazione più intensa, se il mantello non viene pienamente espanso (sintomo di disagio da parte del mollusco). Se l’esemplare acquistato si espandeva al massimo nella vasca del negoziante, informiamoci sull’illuminazione adottata (tipo di lampade, potenza, temperatura di colore, ore di accensione) e misuriamo la distanza tra le lampade e la tridacna: uno sbalzo notevole di qualità e quantità di luce tra il nostro acquario e quello di provenienza potrebbe non essere tollerato dalla tridacna nel breve termine, e richiedere perciò una lenta e graduale acclimatazione. Il sito migliore è una roccia piatta dove il mollusco andrà eventualmente sostenuto con piccole pietre, in attesa che vi si saldi con il bisso.

 Al pari della maggioranza delle sclerattinie (Fungidi esclusi) e contrariamente a buona parte degli invertebrati cosiddetti “sessili” (coralli molli, corallimorfari, anemoni, cerianti, altri bivalvi, ecc.), infatti, questi molluschi, sono assolutamente statici e, anche se giovani e in grado di produrre bisso a volontà, incapaci di compiere autonomamente sia pur brevi e limitati spostamenti.

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Ecco alcune regole basilari per collocare la nostra tridacna in una giusta posizione:

– evitarne il contatto con sclerattinie fortemente urticanti (anche se da questo punto di vista le tridacne sembrano mostrare notevoli capacità di adattamento e resistenza), come le varie Galaxea, Euphyllia, Catalaphyllia, Pavona, ecc.;

– poggiarla sempre con le valve rivolte alla superficie, mai inclinate verso il vetro anteriore solo per poter essere meglio apprezzate da chi non osserva la vasca dall’alto;

– se il colore predominante del mantello è blu o verde e ricco di iridescenze (cromoproteine o pigmenti protettivi dagli UV in acque basse), la tridacna dovrà essere posta nella zona più fortemente illuminata della vasca; al contrario, esemplari di colore bruno, marrone o beige (dato prevalentemente dalle zooxantelle) si accontentano di meno luce.

Un punto purtroppo spesso trascurato dagli acquariofili è l’acclimatazione: nonostante il loro aspetto robusto e massiccio, le tridacne sono dotate di un complesso e delicato sistema circolatorio, particolarmente sensibile alle variazioni improvvise di salinità (e, in generale, di qualità dell’acqua). Per tale motivo è estremamente importante procedere ad un loro ambientamento in vasca molto lento, possibilmente con il metodo “goccia a goccia”.

Le tridacne non amano le forti correnti, bensì un leggero ma costante movimento dell’acqua intorno alla conchiglia. Sottoposte a una movimentazione dell’acqua esagerata possono restare parzialmente chiuse. Reagiscono allo stesso modo quando la temperatura diventa eccessiva: 32-34°C sono valori sopportati solo per brevi periodi, se invece diventano la regola nella stagione più calda è indispensabile ricorrere ad un refrigeratore che mantenga la temperatura su valori ottimali (25-27°C) anche d’estate.

Rispetto alle madrepore ermatipiche a piccoli polipi più esigenti, le tridacne richiedono concentrazioni di nitrati leggermente più elevate (2-8 mg/l), per questo motivo negli acquari di barriera eccessivamente oligotrofi (assenza di sabbia, filtraggio con maxi-schiumatoio, massicci cambi d’acqua parziali, ecc.), con nitrati prossimi allo zero, il loro sviluppo può risultare rallentato. Importante un’aggiunta regolare di iodio, stronzio e di un complesso di oligoelementi.

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Naturalmente le tridacne richiedono molta luce. Già, ma quanta?

Difficile, se non impossibile, rispondere, essendo troppe le variabili in gioco: diciamo che difficilmente essa sarà eccessiva (in termini di intensità), più facile che risulti insufficiente. Una carenza di luce viene segnalata dalla tridacna con alcuni tipici comportamenti: esagerata espansione del mantello (non è quindi indice di buona salute, come molti erroneamente credono), perdita dei colori più vivaci a favore di una colorazione più cupa (pigmenti colorati progressivamente sostituiti da zooxantelle), che in seguito diventa però sempre più sbiadita, similmente allo “sbiancamento” dei coralli. Anche se i led stanno prendendo sempre più piede nell’illuminotecnica marina, le classiche e ben collaudate lampade a vapori metallici (HQI-TS “D”) restano a nostro avviso le più affidabili per allevare con successo qualsiasi specie di tridacna (calcolare 2×250 W per metro lineare in vasche alte fino a 60 cm, 2×400 W per altezze di 60-80 cm). La temperatura di colore dovrebbe oscillare entro la forchetta 6.500-10.000°K.

Con queste lampade occorre spesso procedere per tentativi: ad esempio, partendo da un sito più profondo o ai margini del cono di luce, per poi spostare man mano il mollusco verso un’illuminazione più intensa, se esso manifesta segni di disagio. L’alternativa alle HQI è costituita soprattutto dai già citati led (high power led): per una vasca che ospiti tridacne e sia profonda non meno di 50-60 cm, è consigliabile una plafoniera con almeno un centinaio di led da 3 W (composizione ottimale:40% bianchi 10.000°K + 40% bianchi 6.500°K + 20% blu). Fornire alle tridacne la giusta quantità di luce per tenerle in vita è ovviamente importante visto che la luce che colpisce le zooxantelle è la principale fonte di nutrimento per loro. Ci sono ovviamente delle differenze di specie: Tridacna crocea e Hippopus hippopus vivono al massimo a 6 metri di profondità quindi necessitano di luce molto intensa.

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T. maxima e T. squamosa si possono trovare fino a 15 metri di profondità, mentre le gigas attorno ai 20 metri e le derasa anche fino a 25 metri di profondità. Queste informazioni vanno tenute in mente quando si posiziona una tridacna in acquario in modo da non arrecarle molto stress costringendola ad abituarsi a condizioni di luce non idonee. In più, oltre alle differenze di specie, esistono anche differenze individuali dettate dalla genetica diversa dei vari organismi, che sono molto difficili da identificare.

Quindi, bivalvi allevati in condizioni di bassa intensità luminosa perderanno i loro colori spettacolari, in quanto gli iridofori ridurranno la quantità di pigmenti per sfruttare tutta la luce disponibile. Da ciò si deduce che la quantità di luce necessaria per avere tridacne spettacolari è di primaria importanza. Bisogna anche tenere presente che la tridacna si mostra in tutta la sua bellezza quando viene guardata dall’alto; ciò rende sconsigliabile un posizionamento in acquario nelle zone alte vicino alla superficie (sebbene sarebbero quelle ideali), a favore di una sistemazione nella parte medio bassa. Per acquari alti fino a 45 cm saranno sufficienti ancora le lampade fluorescenti mentre per quelli più profondi si dovrà optare per quelle agli alogenuri metallici.

Considerando che gli acquari possono essere illuminati con vari metodi, esiste un illuminazione migliore per ogni tipo di tridacna?

Le T. crocea sono sicuramente quelle più affamate di luce quindi solitamente rispondono meglio all’illuminazione con HQI; in questo caso infatti possono anche essere posizionate sul fondo dell’acquario, mentre con illuminazioni non molto spinte o in acquari molto profondi è meglio posizionarle in cima alla rocciata.

L’Hippopus hippopus è l’altra tridacna che necessita di molta luce, ma sono leggermente diverse dalle crocea perché si adattano di più a variazioni di illuminazione e quindi possono essere posizionate più in basso in acquario, soprattutto perché amano essere collocate sui fondali sabbiosi, sapendo però che meno luce si da loro più rallentano la crescita.

Quindi se si vuole ottenere una crescita naturale anche loro devono essere posizionate in cima alla rocciata.

La T. maxima vive più in profondità della crocea e anche in acquario può ricevere meno luce rispetto alla crocea, quindi possono essere tenute più facilmente sia sotto HQI, che sotto T5 o LED. La Tridacna squamosa vive alle stesse profondità della maxima ma in natura la maxima prevale nei primi metri, mentre le squamose abbondando anche più in profondità. Quindi la squamosa tollera di più un’illuminazione inferiore.

Per ultima la Tridacna derasa, quella che vive più in profondità; può essere tenuta sotto HQI, T5 e LED senza problemi, ma necessita di essere collocata in zone di poca luce (nel caso di HQI ad almeno 60 cm di profondità).

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Fin ora si è detto di inserire una tridacna in un acquario con acqua limpida e valori perfetti prossimi allo zero e una buona illuminazione, ma questo basta a far vivere e crescere una tridacna? Di solito la tridacna muore per mancanza di apporto di fosforo e composti azotati. Quindi la tridacna necessita di assumere queste sostanze o tramite l’acqua o tramite il cibo.

Un buon modo è quello di avere una vasca popolata da pesci che producono l’ammonio e che vengono cibati, introducendo fosforo. Quindi avere pesci e mantenerli ben nutriti spesso risolve tutti i problemi. Alcune volte però ci sono troppi pochi pesci in vasca per supportare le tridacne, quindi bisogna intervenire fornendo cibo.

I l cibo che si fornisce alle tridacne non è mai troppo ma a volte può sovraccaricare il sistema; la cosa migliore è cibare molto nei giorni successivi all’introduzione di nuove tridacne e poi diminuire gradualmente il cibo osservando però molto bene le loro reazioni e soprattutto la crescita di nuova conchiglia. Se si sta facendo tutto per il meglio entro poche settimane dall’introduzione si inizia ad osservare un lieve deposito di nuovo materiale calcareo.

920+ Tridacna Gigante Foto stock, immagini e fotografie royalty-free - iStock

Le tridacne non amano nè le eccessive e prolungate turbolenze, nè le correnti moderate ma laminari, ovvero costanti e unidirezionali.

Oggi le loro esigenze in fatto di movimentazione dell’acqua sono per fortuna soddisfatte appieno da un classico e ben collaudato sistema di flusso di marea, con corrente opposta ed alternata nelle 12 ore diurne e riposo notturno.

Temperatura: i 32-34°C frequentemente misurabili in estate sono valori sopportati solo per occasionali e brevissimi periodi (24-48 ore), se invece diventano la regola nella stagione più calda è indispensabile ricorrere ad un refrigeratore che mantenga la temperatura su valori ottimali (25-27°C) anche nei mesi da “bollino rosso”.

Rispetto alle madrepore ermatipiche a piccoli polipi più esigenti, le tridacne richiedono concentrazioni di nitrati leggermente più elevate (fino a 5-8 mg/l) per questo motivo gli acquari di barriera eccessivamente oligotrofi (assenza di sabbia, filtraggio con maxi-schiumatoi, massicci cambi parziali, ecc.), con nitrati prossimi allo zero, il loro sviluppo può essere rallentato. Importante un’aggiunta regolare di iodio, stronzio e di un complesso di oligoelementi.

920+ Tridacna Gigante Foto stock, immagini e fotografie royalty-free - iStock

NUTRIZIONE E MANTENIMENTO IN ACQUARIO

I primi studi sulla nutrizione delle tridacne sono piuttosto recenti (risalgono al 1992) ed evidenziano la presenza di zooxantelle nel loro mantello, malgrado siano insufficienti da sole a provvedere tutto il cibo necessario per la loro vita. Fu quindi subito evidente di come le tridacne necessitino anche di materiale particolato dell’acqua da poter filtrare.

La nutrizione eterotrofa, pur secondaria rispetto a quella autotrofa, non va sottovalutata in cattività. In un grande acquario correttamente illuminato e normalmente popolato, meglio se provvisto di un refugium ben avviato, le tridacne filtreranno e/o assimileranno direttamente per osmosi dall’acqua i nutrienti di cui necessitano, derivati soprattutto dalle sostanze di rifiuto espulse dai pesci e dagli invertebrati e dai mangimi non consumati, ma anche il fitoplancton fuoriuscito dal refugium o distribuito più o meno regolarmente in vasca dall’acquariofilo.

In ogni caso, esse non vanno assolutamente alimentate in modo mirato, ovvero con l’ausilio di cannule, pipette, ecc.: nel migliore dei casi, la tridacna chiuderà prontamente il sifone inalante, “tossendo” a lungo con quello esalante per espellere quanto involontariamente ingerito; nel peggiore, le delicate lamelle branchiali potrebbero intasarsi, causando un grave deficit respiratorio al povero animale.

M a quali sono le condizioni migliori per mantenere le nostre belle tridacne in acquario?

Sapere cosa succede in natura sicuramente ci aiuta a gestirle meglio nel nostro acquario.

Zooxantelle e cibo microparticolato

Per capire quanta sostanza le tridacne riescono ad ottenere dall’attività delle zooxantelle è necessario valutare quanto carbonio/energia (indice C/E) riescono a fornire le alghe e quanto ne necessita la tridacna per la sua vita e il suo accrescimento.

Le zooxantelle, con il loro metabolismo sono in grado di produrre molta più energia di quella che necessitano per loro stesse, quindi in parte la cedono alla tridacna che le ospita; questa energia potrebbe bastare alla tridacna per vivere, ma serve molto di più per andare oltre alla sola sopravvivenza.

M a come ci arrivano le zooxantelle nel tessuto della tridacna?

Al contrario dei coralli le tridacne non ricevono le zooxantelle dai genitori ma le devono assumere dall’acqua. Questo non avviene durante la fase larvale ma solo nella metamorfosi, con la formazione dei canalicoli del mantello. Durante questa fase la larva assume protozoi e alghe simbionti del genere Symbiodinium che arrivano al mantello grazie alla comunicazione tra il tratto digerente e i canalicoli.

1.200+ Tridacna Foto stock, immagini e fotografie royalty-free - iStock | Tridacna maxima, Murex

Dopo la metamorfosi la piccola tridacna ha già trovato il posto nel reef dove insediarsi, ottenendo quindi caratteristiche di luce, corrente e acqua stabili. Si presuppone quindi che assuma alghe simbionti compatibili con le caratteristiche dell’ambiente d’insediamento. Le zooxantelle non hanno la possibilità di fornire alla tridacna il 100% dell’energia necessaria a vivere, crescere, respirare e riprodursi. In assenza di altro nutrimento la tridacna deve scegliere a cosa dare la priorità (di solito respirazione e sopravvivenza) ma questa condizione può essere mantenuta solo per poco tempo prima di portarla alla morte.

Le necessità energetiche variano molto in base ad ogni specie e alle dimensioni della tridacna. Sembra infatti che una tridacna piccola riesca a soddisfare tramite le zooxantelle il 65% del suo fabbisogno, mentre crescendo questa percentuale si abbassa sempre di più fino ad arrivare a un punto critico che coincide con le dimensioni di 15-17 cm; in questo momento infatti la tridacna incrementa di molto la quantità di energia assunta filtrando visto l’aumentato fabbisogno.

Per quanto riguarda le specie invece, le principali differenze si osservano in natura tra la T. gigas e tutte le altre specie più piccole; infatti questo gigante è caratterizzato da una crescita più rapida e imponente e un peso maggiore. Queste caratteristiche fanno si che la nutrizione avvenga principalmente per filtrazione piuttosto che tramite le zooxantelle. Per questo la gigas presenta un apparato di filtrazione evoluto, a volte con doppi sifoni in entrata e in uscita, che permette loro di arrivare a filtrare l’acqua con velocità 14 volte superiore a quella delle altre specie. Invece sul mantello ospita solo i tipi di zooxantelle che preferisce in base all’ambiente in cui si colloca.

Stock photo of Giant Clam (Tridacna gigas) spawning, Great Barrier Reef, Queensland…. Available for sale on www.naturepl.com

Ma quando mangiano, di cosa si nutrono le tridacne?

In passato si pensava che si nutrissero solo di phytoplancton, ma ultimamente si è scoperto che mangiano anche lo zooplancton e i detriti; spesso esagerano così tanto che poi sono costrette ad eliminare una parte dell’alimento assunto perché incapaci di digerirlo tutto. Va infatti ricordato che l’apparato digerente è piuttosto esiguo rispetto alle dimensioni della tridacna. I sali azotati e il fosforo, malgrado possano essere assunti anche dal cibo filtrato, vengono prelevati principalmente dall’acqua marina circostante poiché possono essere assorbiti direttamente dai tessuti del mantello. I sali azotati vengono assunti in forma di NO3 e il fosforo in forma di PO4, tutti elementi presenti nell’acqua in quantità scarsa. Sembra che le zooxantelle usino queste molecole assorbite dal tessuto per formare aminoacidi e glucosio, poi forniti alla tridacna.

I l mantenimento delle tridacne in acquario

Le tridacne si ancorano saldamente al substrato emettendo dei filamenti adesivi chiamati bissi. Per aderire al substrato quando vengono messe in acquario ci vuole qualche giorno, quindi nella fase iniziale bisogna prestare attenzione a rimetterle subito in posizione verticale se dovessero cadere. Si possono anche appoggiare tra due piccole rocce, facendo però molta attenzione che la conchiglia si possa aprire completamente. All’atto dell’acquisto bisogna controllare che le tridacne abbiano il mantello completamente esteso, che debordi dalla conchiglia, e che si chiudano prontamente quando vengono avvicinate. Va anche controllato che la ghiandola bissale, che si trova al di sotto in un’apertura tra le due metà della conchiglia, sia in buone condizioni: deve essere pulita e non presentare strappi o parti viscide, segno di infezioni batteriche.

Ma ora, dopo tutto questo blaterare, passiamo a considerare quali siano le condizioni migliori da fornire alle tridacne che ospitiamo nelle nostre vasche.

Andiamo quindi a considerare vari fattori…

La qualità dell’acqua

Le tridacne, oltre alle esigenze di luce, richiedono anche una buona qualità dell’acqua.

Molto importante la presenza di calcio, necessaria alla costruzione della conchiglia, che deve rimanere intorno a 450 mg/L per una crescita ottimale. Per comprendere l’esigenza di calcio di questi animali basta tener presente che una tridacna di circa 20 cm ha una conchiglia spessa 2,5 cm per un peso totale di ben 2 kg! Questa è la quantità di carbonato di calcio estratto dall’acqua nel corso della sua vita (per 20 cm circa 10 anni).

O ltre al calcio le tridacne necessitano anche di stronzio e di iodio. La qualità dell’acqua va tenuta entro valori ottimali anche per quanto riguarda la sostanza organica disciolta. La crescita di alghe indesiderate sulla conchiglia o sul mantello è assolutamente da evitare. Una differenza sostanziale tra le tridacne ed i coralli riguarda invece il movimento dell’acqua; mentre le prime preferiscono un movimento molto moderato, questi ultimi vivono in presenza di forti correnti. Le tridacne apprezzano quindi una posizione simile a quella richiesta dai Corallimorfari (Actinodiscidi). Malgrado alcune tridacne in natura vivano vicino alla foce di fiumi, quindi con salinità leggermente inferiore, la maggior parte vive in acqua poco profonde di zone tropicali, dove la qualità dell’acqua è molto buona e anche stabile, malgrado il fenomeno della bassa marea. Quindi che dire di più se non che le tridacne vogliono un’acqua perfetta?

Troppo semplice così, andiamo avanti…

Salinità

La salinità dei reef si attesta attorno al 34-36 per mille ed è in questi parametri che la dobbiamo mantenere per far vivere le nostre beneamate tridacne.

Temperatura

Ci sono stati molti studi per individuare il giusto range di temperatura per un acquario marino. In particolare le tridacne sembrano aumentare la loro velocità di crescita con l’aumento della temperatura. A esempio la T. gigas aumenta di molto il suo rateo di crescita attorno ai 30°C, ma bastano un paio di gradi in più per diminuire di molto la crescita e aumentare il tasso di mortalità. Quindi la temperatura massima a cui si possono tenere le tridacne è di 30°C (alla quale si ha il massimo tasso di crescita), ma mai oltre i 31.

Al contrario c’è un ampio margine di errore dal lato opposto, alle temperature più basse, alle quali il metabolismo rallenta molto. Attorno ai 22°C iniziano a manifestare segno di stress, retraggono il mantello e rispondono di meno alla luce ambientale.

Calcio

Le tridacne formano la loro conchiglia attraverso il carbonato di calcio; l’acqua marina solitamente contiene attorno a 420 ppm di calcio disciolto. I valori accettabili per le nostre vasche vanno da 380 a 450 ppm e non devono mai scendere troppo perché se no la crescita della tridacna rallenta troppo o si interrompe del tutto. Tenere il calcio a un giusto livello può essere difficile, non tanto quando in vasca abbiamo tridacne piccole, ma soprattutto quando le conchiglie sono grandi e spesse e assumono calcio molto velocemente.

Per mantenere costante il livello di calcio si possono usare varie soluzioni oppure, molto più comodo, si può usare un reattore.

pH e alcalinità

Per la maggior parte l’acqua del reef ha un pH molto stabile, attorno a 8,2. In acquario possiamo invece mantenere un range tra 8.1 e 8.3. L’alcalinità invece è sempre attorno a 6-7 dKH (gradi di durezza carbonatica), ma nell’acquario conviene tenerla a valori leggermente più alti perché ovviamente il volume di una vasca è decisamente inferiore di quello dell’oceano e perché i coralli possono farla diminuire.. Sia il pH che l’alcalinità devono essere misurate costantemente; l’alcalinità può diminuire in modo sorprendente quando si ospitano tridacne di grosse dimensioni. Le sostanze contenenti fosforo si presentano in molte forme nell’acqua del reef e, malgrado non siano direttamente tossiche per gli organismi viventi, possono creare particolari problemi, in particolare sulla crescita e sullo sviluppo delle alghe. Il fosforo entra in acquario principalmente con il cibo, soprattutto congelato; il miglior modo per tenerlo sotto controllo è non eccedere con la somministrazione e al limite usare le resine per i fosfati (ma per periodi brevi). Comunque le tridacne necessitano di una fonte di fosforo, che può essere assunto tramite il cibo o direttamente dall’acqua. La massima concentrazione ben tollerata e utile alla vita delle tridacne è di 0.03 ppm. I composti azotati che troviamo nel nostro acquario sono l’ammoniaca (NH3), nitriti (NO2) e nitrati (NO3); vengono principalmente prodotti dal metabolismo dei pesci. Le tridacne sono organismi in grado di utilizzare l’ammonio e i nitrati per il loro metabolismo e per quello delle alghe simbionti. Va quindi tenuto a mente che le tridacne non utilizzano questi composti saltuariamente, ma lo fanno in modo costante e che la loro assenza può portarli a deperire e poi alla morte. Va ricordato comunque che l’ammonio si trova nell’acqua marina a livelli sempre molto bassi (inferiori a 0,1 ppm).

Le tridacne vivono nei reef e nelle zone limitrofe quindi sono sottoposte a forti correnti e all’azione delle onde; ciò riguarda in particolare le maxima e le crocea. Ma il movimento dell’acqua che si riscontra in natura è ben diverso da quello in acquario: lungo il reef si hanno spostamenti lievi di grosse masse d’acqua, mentre in acquario piccole quantità di acqua vengono spostate con velocità superiori. In acquario la scelta migliore è porle in una zona dove ci sia un flusso lieve o anche turbolento, ma bisogna evitare la corrente forte, lineare e continua. Per capire se la posizione della tridacna è corretta bisogna osservare i movimenti del mantello: se il mantello viene sollevato esageratamente o addirittura viene introflesso all’interno della conchiglia la posizione è scorretta perché questa condizione porta alla continua introflessione del mantello.

Ma cosa fornire come alimento?

La prima cosa da specificare è che le tridacne non sembrano essere schizzinose riguardo al cibo. Possono essere filtrate particelle di dimensioni comprese tra 2m e 50 m, che siano fitoplancton, zooplancton, lieviti o altro. Il fitoplancton che troviamo in commercio può contenere Tetraselmis, Isochrysis, Pavlova, Thalassiosira e Nannochloropsis; quest’ultima specie è l’unica troppo piccola per la filtrazione mentre nessuna è troppo grande per essere filtrata. Le tridacne possono filtrare anche lo zooplancton, ma alcune di queste particelle sono troppo grosse per essere filtrate, soprattutto dalle tridacne di dimensioni inferiori. Esiste l’errata concezione che tridacne di piccole dimensioni debbano essere per forza nutrite, mentre quelle grandi no; ma in realtà è tutto il contrario. Tridacne di grandi dimensioni hanno bisogno di un maggior apporto di energie e quando arrivano a maturità sessuale necessitano di cibo anche per lo sviluppo dei gameti. Quindi, mentre non è fondamentale nutrire piccole tridacne, è importante nutrire quelle di grandi dimensioni. Le tecniche per nutrire le tridacne sono due:

1- Nutrire la vasca; è il metodo più semplice, soprattutto se si hanno più tridacne e molti filtratori. Ovviamente in questo modo è possibile che altri coralli possano competere con la tridacna per il cibo.

2- Nutrimento con la bottiglia; è un metodo più scomodo che consiste nel ricoprire la tridacna con una bottiglia a cui è stato tagliato il fondo. A questo punto dall’apertura si immette il cibo e si lascia la bottiglia in sito per un po’ in modo che la tridacna possa filtrare il cibo.

CONVIVENZE DA EVITARE

I potenziali pericoli per le tridacne in acquario, oltre ovviamente a balistidi, pesci angelo, pesci farfalla e grandi labridi, possono essere i granchi, stelle marine predatrici e grossi gamberi (come ad esempio lo Saron spp.). Possono creare problemi anche gli acanturidi, i blennidi e piccoli pesci angelo (Centropyge). Soprattutto questi ultimi, andando spesso a pizzicare il mantello della tridacna, ne causano la continua chiusura e a lungo andare la morte.

the Trigger-fish (Crossbow-clown, Balistoides Conspicillum)
Centropyge loriculus

Un parassitismo più insidioso è rappresentato dal parassitismo di specie piccole di lumache che vivono sulla conchiglia e si cibano dei succhi del mantello. Un’infestazione di queste ultime può causare gravi infezioni batteriche, spesso fatali.

Queste lumache, appartenenti alla famiglia Pyramidellidae, sono delle dimensioni di un chicco di riso e si cibano generalmente di notte. Di giorno si nascondono tra le pieghe del mantello o vicino alla base della conchiglia. Ci sono comunque dei pesci che per fortuna si cibano di questi parassiti: sono dei piccoli labridi del genere Pseudocheilinus (P. hexataenia, P. tetrataenia) e del genere Halicoeres.

Altri predatori potenziali delle tridacne possono essere alcuni grandi vermi, come Hermodice carunculata. Infine, le tridacne possono soccombere a infezioni batteriche. In questi casi si può solo provare a spostare il bivalve, ma con poche speranze. Se notate che dei gamberetti pulitori si aggregano intorno alla tridacna, è segno inconfondibile che essa sta morendo.

Risultati immagini per hermodice carunculata
Hermodice carunculata

Va tenuto presente che le tridacne vengono facilmente irritate dai coralli duri molto urticanti, come ad esempio Euphyllia, Catalaphyllia e Plerogyra. Anche le anemoni Aiptasia che crescono sulla conchiglia possono dare problemi. Le tridacne, comunque, non devono trovarsi all’ombra di altri invertebrati o alghe e devono essere in grado di aprire la loro conchiglia il più possibile; perciò non vanno assolutamente sistemate dentro anfratti tra le rocce. Una tridacna che non riesce ad aprirsi a sufficienza morirà rapidamente. Le tridacne possono essere predate a tutte le età da altri Molluschi Gaasteropodi carnivori, soprattutto murici del genere Chicoreus (C. brunneus, C. ramosus) occasionalmente importati per il mercato acquariofilo, che con i loro potenti acidi riescono a forarne la pur massiccia conchiglia oppure si fanno strada direttamente attraverso l’orifizio del bisso per attaccare la tenera polpa del mollusco.

Risultati immagini per tridacna squamosa

Più fastidiosi che realmente pericolosi (ma possono costringere le tridacne a restare chiuse a lungo, causandone il deperimento) sono i grossi paguri, come Dardanus spp., che comunque possono attaccare e divorare gli esemplari molto giovani (fino a 7-8 cm). Petulanti e fastidiosi possono rivelarsi anche i gamberetti più vivaci, come i vari Lysmata, ai quali però di solito la tridacna si abitua col tempo. la conchiglia di questi molluschi viene spesso colonizzata, nel tempo, da numerosi organismi epibionti e commensali (alghe, spugne, ascidie, briozoi, idroidi, vermi tubicoli, ecc.) per lo più innocui ma talvolta dannosi se proliferano oltre misura, ostacolando la piena espansione del mantello o l’apertura delle valve: ciò vale soprattutto per le alghe a bolla infestanti del genere Ventricaria e per le attinie di vetro Aiptasia, che è bene dunque rimuovere dalla conchiglia non appena ci si accorge della loro presenza.

Passando ai pesci, oltre a quelli incompatibili con qualsiasi mollusco (pesci palla, pesci istrice, pesci balestra, pesci lima, grossi Labridi come Cheilinus e Choerodon, squaletti bentonici, ecc.), è bene evitare la convivenza con specie quali i Chaetodontidi (pesci farfalla) in generale e Chelmon rostratus in particolare (quest’ultimo infatti con il suo muso a “pinzetta” riesce letteralmente a fare a brandelli il mantello delle tridacne, anche se non tutti gli individui sono così aggressivi), e con il Labride pulitore Labroides dimidiatus, che scambia facilmente i tubicoli e macchie di colori sparsi sul mantello delle tridacne per dei…gustosi parassiti, tormentando a volte fino alla morte il povero mollusco.

Chelmon rostratus

I sintomi del malessere

Nella maggior parte dei casi non ci sono sintomi specifici per ogni patologia delle tridacne, anzi, spesso non manifestano nulla finchè le valve non iniziano ad aprirsi e il tessuto a ritirarsi; purtroppo in questo momento spesso è troppo tardi. Quindi il primo sintomo (e spesso anche l’unico) di malessere è il cosiddetto “gaping”, termine con cui si intende l’apertura della conchiglia con mantello retratto e sifone inalante dilatato. Quando una tridacna è in queste condizioni solitamente è morta o prossima alla morte purtroppo, e ben poco si può fare per farla riprendere. Altro sintomo tipicamente indicativo di malessere è la scarsa risposta in seguito a cambiamenti della luce percepita: se passiamo una mano sopra una tridacna e questa non si chiude dobbiamo iniziare a sospettare un problema.

Sbiancamento

In caso di condizioni ambientali avverse il mantello delle tridacne può cambiare colore e diventare molto chiaro, fino a diventare completamente bianco. Questo fenomeno è chiamato sbiancamento e può coinvolgere piccole aree superficiali del mantello o aree più estese attorno ai sifoni. l fenomeno si presenta in natura come in acquario ma, mentre nel primo caso le tridacne riescono a superare il problema, il loro salvataggio in acquario è più difficoltoso. Il fenomeno dello sbiancamento avviene in seguito alla perdita delle zooxantelle e dei pigmenti del mantello; il colore del mantello è conferito sia dalle zooxantelle che dai pigmenti che la tridacna produce come protezione dalla luce solare o come sostegno per le alghe simbionti. l meccanismo di sbiancamento dei coralli è identico a quello che avviene nelle tridacne. Ci sono molti fattori che possono causare questa patologia, ma le cause principali sono l’aumento spropositato di luce e temperatura. L’aumento improvviso della luce ricevuta dalla tridacna, in particolare dei raggi UV, causa un aumento improvviso del tasso fotosintetico, con conseguente aumento della quantità di radicali liberi prodotti. Sia questo che l’aumento della temperatura causa una diminuzione delle zooxantelle, ma non si sa ancora come questo avvenga:

espulsione nell’ambiente

digestione da parte della tridacna

morte delle zooxantelle.

In natura le condizioni ambientali cambiano molto lentamente durante le stagioni, ma cambiamenti più improvvisi (soprattutto nella capacità di penetrazione della luce) sono causati dal vento, nuvole e onde. In acquario lo sbiancamento può avvenire quando una tridacna è sottoposta a una luce più forte di quella a cui è abituata. Per questo le tridacne che introduciamo in acquario devono essere abituate lentamente a nuove condizioni di luce e temperatura per evitare di “cuocerle”.

Purtroppo per noi non tutto è facile; le tridacne in acquario possono sbiancare anche perché posizionate in troppa poca luce o per scarsità di nutrienti in acqua o per temperature troppo basse. La regola fondamentale è comunque sempre cercare di farle adattare lentamente alle condizioni ambientali. Altre cause riportate di sbiancamento in acquario sono:

sbalzi di salinità importanti

intossicazioni da metalli pesanti

troppa luce rossa

utilizzo di alcuni medicinali (soprattutto antibiotici) in vasca

patologie specifiche (i batteri Vibrio sono stati identificati come causa dello sbiancamento dei coralli ma non ancora delle tridacne)

incapacità delle tridacne di produrre sostanze protettive nel mantello.

Lo sbiancamento può essere visto in tre forme principalmente:

sbiancamento generalizzato: perdita di colore uniforme su tutto il mantello. E’ la forma di sbiancamento più grave e anche quella che porta più facilmente a morte la tridacna. Di solito è causato da sbalzi molto importanti delle condizioni ambientali.

Sbiancamento centrale: consiste nella perdita di colore della parte centrale del mantello, dove si trovano i sifoni, che possono sbiancare loro stessi. Di solito è il risultato di un’intensa illuminazione della tridacna perché la parte centrale è quella che riceve la luce perpendicolarmente. Causa più raramente la morte della tridacna, che però deve essere posta in una zona più ombreggiata in acquario.

Sbiancamento localizzato: ha forma abbastanza variabile e si può trovare ovunque lungo il mantello. Può essere causato da sbalzi dei valori ambientali ma anche da infezioni locali. Solitamente rimane localizzato alla sola area interessata, ma spesso se la causa è un’infezione allora può dilagare.

Una volta riconosciuto il fenomeno dello sbiancamento si passa all’azione: ovviamente il primo passo è determinare la causa del fenomeno perché spesso, sistemando il problema, si riesce a salvare l’animale. La prima cosa da fare è spostare la tridacna in una zona d’ombra e poi procedere al controllo della temperatura e dei valori dell’acqua. Trovato il problema è necessario correggerlo ma lentamente, in modo da non sottoporre l’animale a ulteriore stress.

Infezioni batteriche

Nell’acqua marina si trovano batteri in grande quantità, ma di solito non causano problemi alle tridacne. Ma se l’animale è stressato le difese immunitarie possono diminuire favorendo un’eventuale infezione; a complicare ulteriormente le cose dobbiamo considerare che in acquario la quantità di batteri è maggiore rispetto alla natura perché si tratta di un sistema chiuso. Molti sono i batteri che possono infettare le tridacne: Vibrio, Acinetobacter, Pseudomonas, Xeromonas e Pleisomonas. In più batteri simili a Rickettsia sono in grado di formare cisti che restano quiescenti nelle tridacne del genere Hippopus.

I sintomi che causano le infezioni sono poco specifici e comprendono necrosi del tessuto del mantello e gaping. Le larve e le forme giovanili sono le più predisposte e spesso negli allevamenti si usano antibiotici per evitare di avere grosse perdite nelle fasi iniziali. Questi trattamenti sono decisamente da evitare in acquario perché con l’antibiotico si uccidono i batteri dannosi ma anche molti utili al sistema. In più, non potendo intuire dai soli sintomi quale batterio è la causa del problema, non sappiamo nemmeno quale tipo di antibiotico usare. Le molecole più spesso usate per le terapie sono: streptomicina, neomicina, ampicillina e rifampicina. L’unico modo di curare una tridacna con gli antibiotici è rimuoverla dalla vasca e trattarla in una vasca di quarantena.

Infestazioni protozoarie

I protozoi sono organismi unicellulari non fotosintetici e con caratteristiche delle cellule animali. Come per i batteri, ci sono molti protozoi in acqua che, solo nel caso di abbassamento delle difese immunitarie, possono diventare nocivi per la tridacna. Purtroppo le informazioni a disposizione sono molto più scarse.

Un protozoo chiamato Perkinsus olseni è stato trovato nel tratto digestivo di molte specie di tridacne che può portare a morte in caso di sovrainfezione, ma che non da sintomi specifici e che non presenta terapia valida.

Perkinsus olseni

Un altro protozoo del genere Perkinsus è stato riportato come parassita di crocea, maxima e squamosa; produce piccole cisti bianche sulla superficie del mantello e attorno al bisso. L’infestazione è causa di morte di tutte le tridacne che non vengono curate. La patologia è stata chiamata malattia dei puntini bianchi (o whitespot disease); è molto contagiosa e porta a morte la tridacna in poche settimane-massimo un mese. La terapia si basa sui bagni con l’antibiotico cloramfenicolo.

Marteilla è un protozoo riconosciuto come infestante nel tratto digerente e nei reni di Tridacna maxima. Altri protozoi non identificati infestano il mantello di molte specie di tridacna.

Per ultima, una patologia facile da identificare ma di cui non si conosce la causa: la malattia del mantello pizzicato (meglio nota come pinched mantle disease), causata da un protozoo non ben identificato. Fortunatamente è una patologia facile da riconoscere perché il mantello si presenta contorto e pizzicato; la tridacna appare come se stesse cercando di estroflettere tutto il mantello, ma questo rimane contratto e arricciato.

La patologia riguarda in particolare Tridacna crocea, mentre le altre specie risultano essere più resistenti, quasi immuni; è fatale in circa 1-2 settimane dall’inizio della presentazione dei sintomi, ma fortunatamente si può curare. Non sono necessari farmaci, ma un semplice bagno in acqua dolce per una trentina di minuti.

Tridacna colpita da pinched mantle disease

La procedura corretta consiste nel riempire un contenitore di acqua dolce con la stessa temperatura di quella dell’acquario e fare in modo che ricopra completamente la tridacna; questa deve rimanere immersa per 30 minuti e smossa ogni tanto per far penetrare l’acqua ovunque. Se il tutto viene fatto correttamente la tridacna torna ad espandere il mantello in uno-due giorni e dopo una settimana circa è tornata normale. Sembra strano che una tridacna possa sopportare un bagno di 30 minuti in acqua dolce, ma in realtà in natura spesso sopportano forti piogge durante i periodi di bassa marea.

Organismi perforanti

Le spugne appartenenti alla famiglia Clionaidae sono in grado di penetrare nelle valve della tridacna creando fori anche di dimensioni importanti, potenzialmente anche portando a morte l’esemplare.

spugne del genere Clionaidae
Effetti su di un corallo attaccato da una spugna del genere Clionaidae

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’inizio dell’infestazione si possono osservare piccoli fori riempiti da spugne colorate che crescono molto se non asportate. Hanno la capacità di penetrare nelle valve per circa 1 cm, invasione poco importante per tridacne di grandi dimensioni, ma che può rendere molto fragili quelle piccole.

Per liberarsi del problema l’intervento migliore è lo spazzolamento e la rimozione delle spugne seguiti da un bagno in acqua dolce di 30 minuti.

Cliona inconstans – Isole Reunion

Predatori di tridacne

Vermi e platelminti: ci sono molti vermi e platelminti predatori di tridacne.

Stylochus Ehrenberg, 1831
Stylochus Ehrenberg, 1831

Urastoma cyprinae è un platelminta che in natura convive con le tridacne sotto il loro mantello ma che in acquario possono anche predarle visto l’ambiente ristretto.

Parasite of the Day: October 20 - Urastoma cyprinae
Platelminte Urastoma cyprinae

Stylochus matatasi è un altro platelminta letale per le tridacne in acquario visto che se ne nutre in una notte lasciando solo la conchiglia svuotata. Non ci sono predatori noti di questi animali quindi il metodo migliore per rimuoverli dall’acquario è la nassa o l’appostamento notturno, facendo attenzione a non frantumare l’animale durante la rimozione perché rischiamo di creare più individui. Come ci si può aspettare non ci sono sintomi specifici che indichino che il parassita è in azione. I vermi setolosi hanno una brutta reputazione perché urticanti, perché alcuni sono velenosi e perché a volte raggiungono dimensioni ragguardevoli. Fortunatamente sono poco frequenti in acquario, tranne i ben conosciuti vermi-cane che sono innocui e detritivori.

Oenone fulgida

Il più “famoso” verme mangiatore di tridacne conosciuto è l’Oenone fulgida che sembra essere in grado di perforare la conchiglia delle tridacne per raggiungere l’animale e nutrirsene. Il verme di solito viene introdotto in acquario quando è di piccole dimensioni ma crescendo può raggiungere e superare i 30 cm di lunghezza ed è quindi più facilmente osservabile.

E’ facile da riconoscere perché è di colore arancione chiaro. Nel caso in cui si osservi uno di questi vermi banchettare con una tridacna viva e non malata bisogna ovviamente cercare di rimuoverlo evitando di rompere in più pezzi il verme. Se invece si vedono dei vermi che si nutrono di una tridacna morta non dobbiamo pensare che siano loro la causa della morte.

Un altro tipo di vermi che può nutrirsi di tridacne è il gruppo delle eunici; però per questi vermi non è una costante nutrirsi di tridacne visto che la loro alimentazione è molto varia e tendono a creare danni in acquario con il progredire della crescita.

Lumache: sono un grosso problema per le tridacne perché di solito si tratta di parassiti piccoli, che si riproducono velocemente e che di solito vengono introdotti in vasca con la tridacna stessa.

Al genere Cymatium e Chicoreus appartengono parecchie lumache predatrici di tridacne, alcune delle quali possono anche raggiungere dimensioni ragguardevoli.

Di solito iniziano a nutrirsi quando sono di piccole dimensioni e possono penetrare attraverso l’apertura del bisso o attraverso il mantello quando la conchiglia è aperta. Si nutrono direttamente dei tessuti molli oppure iniettano un veleno. Le tridacne di grandi dimensioni sono più resistenti agli attacchi perché hanno un’apertura bissale più piccola e perché spesso riescono ad espellere il parassita. Se capitasse di vedere in acquario il parassita lo si deve ovviamente eliminare; se fosse già dentro la tridacna bisogna procedere mantenendo aperte le valve della tridacna frapponendo d esempio una morbida gomma da cancellare e entrando attraverso un sifone con una pinza per asportare la lumaca.

Altro flagello per le tridacne sono le lumachine del gruppo delle Pyramidellide; sono molto più piccole delle lumache predatrici prima citate e anche molto meno visibili.

Cymatium (gastropod) - Wikipedia
Cymatium sp. predatore di Tridacne

Agiscono succhiando i fluidi corporei della tridacna vittima attraverso una sorta di proboscide e tendono a collocarsi attorno all’apertura bissale. Possono passare facilmente da una tridacna all’altra e si riproducono molto velocemente. In questi casi la cosa migliore da fare è controllare l’apertura bissale di tutte le tridacne della vasca e spazzolare via in modo energico le lumachine, cosa che deve essere ripetuta periodicamente. L’operazione permette di asportare sia gli adulti che le uova, ma può essere d’aiuto introdurre un pesce del genere Halicoeres o Pseudocheilinus.

La sparizione del legamento

E’ una patologia poco comune ma può capitare che il legamento di una tridacna si deteriori e poi sparisca del tutto. Sfortunatamente non ci sono cause riconosciute per questo processo ma probabilmente è un’infezione batterica seguita dalla produzione di bolle d’aria durante la degradazione del tessuto.

Visto che probabilmente la causa è batterica l’utilizzo di antibiotici spesso risolve il problema.

A volte la patologia è così avanzata da non permettere più alle due valve di rimanere allineate e in questi casi spesso si usa la colla atossica per riposizionarle.

Se si rispettano alcune semplici precauzioni – e se si considerano con attenzione le condizioni presenti nell’acquario, confrontandole con quelle che in natura le singole specie prediligono – si potrà procedere con maggiore tranquillità all’acquisto di una tridacna della specie che meglio si adatterà all’allestimento e alle condizioni presenti nel sistema, e godere per lunghi anni della crescita e della vista di invertebrati di eccezionale bellezza.

STATO DI CONSERVAZIONE

NORMATIVA E PROTEZIONE

Molte specie di tridacne sono oggi in pericolo di estinzione, anche se ciò non è dovuto sicuramente all’acquariofilia; la quasi totalità delle tridacne presente negli acquari proviene da allevamenti in cattività. La loro rarefazione in natura è invece dovuta alla pesca eccessiva in quanto sono alimenti prelibati nella cucina orientale. Questo prelievo ha portato alla totale estinzione di questi animali da alcune aree del Pacifico, anche se oggi si sta cercando di ovviare al prelievo in natura con la maricoltura.

Un’altra causa che nel passato ha causato la rarefazione di questi animali (soprattutto la tridacna gigante) è stato il commercio delle loro conchiglie, pratica che comunque ora è diventata illegale.

Tutte le tridacne sono inserite nell’Appendice II della Convenzione di Washington, ogni esemplare venduto dev’essere perciò provvisto di apposita documentazione (CITES).

Oggi per fortuna quasi tutti gli esemplari offerti nei negozi di acquariofilia provengono da allevamenti specializzati, situati in diverse aree dell’Indo-Pacifico. Per la gran parte delle tridacne di provenienza selvatica, tuttavia, l’importazione nella UE è sospesa da alcuni Paesi (regolamento di esecuzione UE n. 757/2012). Solo tre specie (T. crocea, T. maxima, T. squamosa) sono considerate a “basso rischio” dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, le altre (T. gigas, T. derasa, T. rosewateri, T. tevoroa) – nonostante la protezione accordata loro dalla CITES e l’ampia diffusione in natura – godono invece dello status di “vulnerabile” a causa dell’eccessivo sfruttamento a livello locale nonchè del precario equilibrio delle barriere coralline che ne costituiscono l’habitat (IUCN Red List 2013 (www.iucnredlist.org).

Tridacna maxima – foto e vasca Alberto Scapini

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