IL METODO BERLINESE

ALLESTIMENTO ACQUARIO MARINO

METODO BERLINESE

Il metodo Berlinese e’ approdato nelle nostre vasche circa 25 anni fa, alla fine e’ stata la svolta che ci ha permesso delle reali soddisfazioni nell’allevamento dei coralli duri.

Diciamolo subito: l’aquariologia non è una scienza esatta. Anzi, a pensarci bene non è neppure una scienza. Non esistono leggi assolute perché troppi sono i fattori in gioco: ogni vasca fa storia a sé.

Detto questo, però, è pur vero che ci sono delle nozioni di base, sia per quanto riguarda la tecnica che per quanto riguarda la biologia, che non possono essere ignorate. In questo settore vogliamo sviluppare questi argomenti, tenendo come punto di riferimento il metodo Berlinese.

Illustriamo nei dettagli solo questo sistema non perché riteniamo sia l’unico e il solo a funzionare: tutti, prima o poi, abbiamo avuto modo di osservare con sorpresa vasche di impostazione classica popolate di pesci in perfetta salute e di invertebrati rigogliosi. Il punto è un altro.

Anche se siamo sicuri che il Berlinese non è l’unico metodo per giungere ad un acquario da manuale, siamo tuttavia convinti che – a differenza di altre filosofie – seguendo le regole di questo sistema naturale sia molto più facile centrare il risultato. Persino per coloro che non hanno molta esperienza con rocce vive, pesci e invertebrati.

LE ORIGINI DEL METODO BERLINESE

L’acquariofilo tedesco Peter Wilkens e il Berlino Aquarium Club hanno sviluppato negli anni ’70, il metodo berlinese come metodo alternativo di mantenimento della barriera corallina. Quando il famoso acquariofilo americano Julian Sprung visitò la Germania negli anni ’80, rimase folgorato da tutte quelle acropore che fino ad allora era impossibile allevare in cattività. Iniziò a scrivere il successo visto negli acquari tedeschi. La più grande differenza dai sistemi comuni, è l’introduzione di un nuovo strumento: lo schiumatoio (skimmer). 

Il metodo Berlinese cerca di riprodurre in modo più naturale possibile l’habitat e i processi bio-chimici della barriera corallina.
A sperimentarlo è stato un certo Struber che per primo, a Berlino, riuscì ad allevare coralli ritenuti impossibili per l’epoca, come le acropore con successo in acquario.
Attualmente secondo noi è il metodo migliore per avere risultati duraturi nel tempo, infatti lo usiamo in tutte le nostre vasche da diversi anni, bisogna anche considerare che, con il passare del tempo, questo metodo è stato sicuramente migliorato da studi e tecnologie sempre più performanti.

Il metodo berlinese, nelle sue componenti essenziali, è altamente compatibile con la gestione di piccoli acquari marini chiamati nanoreef, ossia con vasche inferiori ai 100 litri. nanoreef ci permettono di contenere le spese di allestimento e di manutenzione anche se il sistema completo sarà meno stabile rispetto a vasche più grandi visto che un sistema più piccolo è più sensibile alle variazioni rispetto ad acquari più grandi. Ad esempio l’inquinamento dato dalla morte di un anemone in un nanoreef risulterebbe distruttivo, quando invece l’impatto della stessa morte in un acquario di grosse dimensioni sarebbe meglio sopportato dal sistema.

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COME METTERE IN PRATICA IL METODO BERLINESE

Per allestire un acquario marino secondo il metodo berlinese (questo metodo, come già specificato, prende il nome dalla città, Berlino appunto, dove per la prima volta è stato messo in pratica), occorrono alcuni elementi fondamentali che andiamo qui ad elencare:

Vasca aperta con potenti lampade per una perfetta crescita dei coralli duri;

Vasca inferiore (chiamata Sump) dove si possono alloggiare lo schiumatoio, pompa di risalita, reattore di zeolite, il reattore di carbone ed eventualmente quello di calcio, praticamente è una vasca porta accessori. La sump è sempre consigliata sia per motivi estetici (il layout dell’acquario principale è privo di attrezzi e fili in bella vista) che per pura e semplice comodità per alloggiare lo schiumatoio, pompa di risalita, reattore di zeolite, il reattore di carbone ed eventualmente quello di calcio, praticamente è una vasca porta accessori.

  • Rocce vive (Il filtraggio biologico è affidato alle rocce vive pari circa a 1Kg ogni 5-10 litri di acqua per far sì che  i batteri anaerobici, che sono al loro interno, completino il ciclo dell’azoto fino all’eliminazione totale dei nitrati.
    Le rocce sono considerate vive non solo per i batteri che ospitano, ma anche per piccoli spirografi, stelle marine, lumachine, granchietti, alghe e a volte coralli, inoltre arredano e danno rifugio ai pesci che popolano il reef ricreando il loro ambiente naturale)

  • Forte illuminazione

  • Forte idrodinamismo (Forte movimento d’acqua in vasca, per mezzo di pompe di movimento (minimo 20 volte il volume complessivo di acqua) che simulano le correnti marine al fine di eliminare il più possibile la CO2, garantendo così un PH superiore a 7,9.
    Muovendosi forte, l’acqua non fa depositare sedimenti e detriti sul fondo che potrebbero far proliferare i cianobatteri, aiuta i coralli a nutrirsi aiutandoli ad estroflettere i tentacoli che si allungano nell’acqua per catturare il cibo, aiutano la pulizia del corallo dalle mute, ed  assicurano con il loro forte movimento un adeguato scambio gassoso.
    Mantenendo il movimento continuo i sedimenti e i detriti riescono a raggiungere lo schiumatoio più facilmente dove saranno eliminati. Attualmente esistono pompe sofisticatissime che garantiscono risultati eccezionali).

Impiego di:

  • schiumatoio di proteine (Lo schiumatoio (detto skimmer) nel metodo Berlinese è fondamentale, rimuove gran parte delle sostanze della trasformazione batterica che diventerebbero inquinamento.
    Lo schiumatoio utilizzato deve essere adeguatamente potente per far sì che i valori dell’acqua siano il più possibile simili a quelli dell’acqua marina naturale.

  • carbone attivo

Integrazione di:

  • Calcio

  • Carbonati

  • Oligoelementi importanti

L’aggiunta regolare di oligoelementi nel metodo Berlinese serve per reintegrare tutte le sostanze che vengono degradate dall’azione dello schiumatoio e dall’assorbimento per osmosi dagli animali stessi (coralli, crostacei, pesci) e dall’azione di tutte le sostanze assorbenti presenti nel metodo Berlinese (carbone attivo minerale, zeolite).
Sono quindi importanti per un’acqua marina sempre in equilibrio con tutte le sue caratteristiche sempre presenti per assicurarci un acquario in salute, solitamente l’aggiunta di oligoelementi si effettua nelle settimane in cui non si fanno cambi d’acqua per evitare un sovradosaggio di oligoelementi che potrebbe causare danni a coralli sensibili come le acropore, personalmente abbiamo constatato più volte quanto siano importanti soprattutto per la colorazione e la buona crescita di tutti i coralli duri SPS e LPS.

  • Cambi d’acqua parziali del 10% al mese o ogni 15 giorni, nel metodo Berlinese, servono per reintegrare gli oligoelementi ed a eliminare sostanze tossiche accumulatesi nel tempo.

  • Ghiaia quasi assente sul fondo, per evitare l’accumulo di detriti e sporco che potrebbero risultare tossici per gli animali.

Con il metodo Berlinese in acquario marino limitiamo il più possibile l’inquinamento utilizzando supporti naturali, ma questo, comunque, non è l’unico metodo per gestire un acquario marino anche se sicuramente è il più diffuso tra gli acquariofili.
Noi lo utilizziamo con ottimi risultati e lo consigliamo non solo per reef di coralli duri SPS e LPS ma anche con coralli molli e in particolare con molti pesci.

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Filtrazione biologica e meccanica

Al contrario del metodo DSB, dove la sabbia è la fonte principale di filtraggio, nel metodo Berlinese la sabbia cede il posto alle rocce vive e, come già detto, allo schiumatoio.

Lo schiumatoio (o skimmer), rimuove le sostanze organiche dall’acqua prima che si trasformino in ammoniaca risultando letali sia per pesci che per coralli. Quindi lo skimmer nel metodo Berlinese è fondamentale perché rimuove gran parte delle sostanze della trasformazione batterica che diventerebbero inquinamento.
Lo schiumatoio utilizzato deve essere adeguatamente potente per far sì che i valori dell’acqua siano il più possibile simili a quelli dell’acqua marina naturale. Ti consiglio di inserire in vasca uno schiumatoio di potenza superiore di almeno 3 volte la capacità lorda del tuo acquario.

  • Il filtraggio biologico invece, è affidato alle rocce vive, la cui quantità deve essere pari circa a 1 Kg ogni 5/10 litri di acqua per far sì che i batteri anaerobici, che sono al loro interno, completino il ciclo dell’azoto fino all’eliminazione totale dei nitrati. Le rocce sono considerate vive non solo per i batteri che ospitano, ma anche per piccoli spirografi, stelle marine, lumachine, granchietti, alghe e coralli. Inoltre arredano e danno rifugio ai pesci che popolano il reef ricreando il loro ambiente naturale.
  • La sabbia è altamente sconsigliata nel metodo berlinese, anche un semplice velo. Se vuoi per gusti estetici inserire sabbia ti consiglio di orientarti al metodo DSB. La sabbia farà proliferare i batteri aerobici, portando in breve tempo il tuo acquario ad avere costantemente nitriti che alla lunga diventerà impossibile debellare.Risultati immagini per METODO BERLINESE

ROCCE VIVE

Le rocce vive sono di origine corallina, cioé sono composte da scheletri di corallo ricoperti da una miriade di microrganismi animali. Possono anche ospitare specie di alghe superiori o alghe calcaree. Nella barriera corallina è proprio grazie a queste rocce che avviene il controllo delle sostanze inquinanti prodotte dalla digestione di pesci ed invertebrati.
In un acquario marino, le rocce vive rappresentano il “mattone” fondamentale perché contribuiscono in modo determinante a creare un ecosistema complesso ed equilibrato. Sono popolate da miliardi di batteri in grado – da soli – di compiere due dei processi fondamentali dell’ecosistema: la nitrificazione e la denitrificazione delle sostanze organiche inquinanti. Insomma, sono un filtro naturale ed ineguagliabile.
Purtroppo il prezzo delle rocce vive è molto elevato ma non val la pena di lesinare.

Le regole del Berlinese erano piuttosto semplici, in primis ci suggerivano l’utilizzo di rocce vive, in una proporzione di 1 Kg ogni 5 litri d’acqua, finalmente si e’ presa una posizione riguardante la necessità di un supporto batterico adatto oltre all’immissione di batteri provenienti dai luoghi d’origine nei quali i coralli si riproducono regolarmente da millenni. Una volta si acquistavano le rocce vive unicamente basandoci sulla forma, cercavamo quelle che più ci piacevano e che meglio si adattavano al nostro layout.

Le rocce vive possono essere di svariate forme ed hanno differenti caratteristiche, in commercio si trovano rocce riprodotte in mare, rocce sintetiche e rocce prelevate in mare. Le forme variano semplicemente sulla base di come vengono raccolte e spaccate, la “qualità” dipende dai luoghi di provenienza. All’interno delle rocce vive assieme ai batteri solitamente vi si trovano animali di ogni genere, e’ facile trovare granchi, gamberetti, cicale di mare, stelle marine, lumache, ricci, alghe di ogni genere, il tutto può essere molto utile come dannoso. Quando si acquistano le rocce vive si deve considerare l’effettivo beneficio che se ne trae, non si deve considerare unicamente il fattore estetico, soventemente acquistiamo rocce piatte per poterle utilizzare come basi d’appoggio per i nostri coralli, ma nella parte più interna si sviluppano le zone anossiche nelle quali si sviluppano una serie di batteri necessari alla stabilità della vasca.
Oggi la quantità di rocce vive può essere ridotta sensibilmente, questo in quanto utilizziamo degli accessori tecnici molto più performanti rispetto a quelli di anni fa.

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Le rocce vive in un acquario marino nel dettaglio

La qualità e la quantità delle rocce vive sono di fondamentale importanza in un acquario Berlinese.

Di solito le rocce vive costituiscono uno dei capitoli di spesa maggiori. Non ci si deve spaventare ad affrontare cifre in euro con somme a tre zeri. Saranno tra i soldi meglio investiti.

Nelle rocce vive non risiedono solo batteri nitrificanti e denitrificanti ma anche una moltitudine di piccoli organismi che, se in vasca trovano le condizioni adeguate, si possono sviluppare e moltiplicare. E’ molto importante che le rocce vive siano ben quarantenate ma è anche vero che delle rocce vive “fresche”, cioé da poco raccolte in mare, sono un’autentica miniera di vita. Molti organismi verranno perduti nei primi giorni di permanenza in vasca, altri si propagheranno ed altri ancora appariranno in seguito: è sempre sorprendente, a settimane di distanza dalla loro introduzione in vasca, scoprire qualche nuovo microscopico “clandestino” arrivato in acquario con le rocce: minuscoli crostacei, molluschi, gamberetti, piccole stelle marine. Attenzione che fra i “clandestini” non ci sia anche qualche organismo pericoloso per la salute degli nostri invertebrati: granchi predatori, vermi carnivori, nudibranchi, aiptasie, planarie ecc.

Le rocce vive possono essere di varia provenienza: Caraibi, Indonesia, Isole Fiji, Kenya, Mar Rosso. Ad ogni luogo di provenienza corrispondono diverse caratteristiche, qualità e prezzi. In Italia il prezzo delle rocce vive varia dai 9 € al kg (se si acquistano grandi quantità come box interi da 25kg) fino ai 21 € al Kg per le rocce più ricercate.
Per risparmiare qualcosa è possibile costruire in vasca una struttura realizzata con semplici rocce calcaree (si trovano in vendita nei Garden) sulla quale fissare poi le vere e proprie rocce vive. Resta però il fatto che più alta è la percentuale di rocce vive, più l’acquario avrà vita facile.

Parliamo di qualità. Non è facile per un inesperto distinguere rocce vive buone da pietroni insignificanti. Prima di tutto dobbiamo valutare l’aspetto: una buona roccia viva deve essere il più frastagliata possibile: la struttura deve lasciare trasparire l’origine corallina, soprattutto nelle parti fratturate. La superficie deve essere ricoperta il più possibile da alghe incrostanti rosa o rosse. Meglio ancora se vi sono attaccate delle alghe superiori come Caulerpa o Halimeda.
Negli anfratti (che devono essere numerosi) si deve scorgere la presenza di qualche microrganismo come, ad esempio, minuscoli spirografi. Una buona roccia viva ha una consistenza che si potrebbe quasi definire “spugnosa”. Deve essere piuttosto fragile (come lo sono i coralli) e rispetto al volume deve essere piuttosto “leggera”. Diffidate assolutamente da rocce dall’aspetto di pietroni lisci e pesanti: avrete un’alta spesa (dovuta al peso) e scarsissima qualità.

Al momento di sistemare in vasca le rocce, bisogna cercare di rispettare la posizione che avevano in mare. E’ facile intuirla: la parte più ricca di incrostazioni era rivolta verso l’alto ed esposta al sole, la parte più chiara stava sotto. Nel costruire la struttura in acquario, vanno posizionate in modo molto fermo e saldo. Guai se, ad acquario completato, ci fosse un crollo: il colpo potrebbe anche spezzare la lastra di fondo della vasca.

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SUMP

Dotare l’impianto di un sump, cioé di una vaschetta fisicamente separata dalla vasca principale ma ad essa collegata idraulicamente, è una scelta pratica e razionale. Nel sump possiamo installare tutta l’attrezzatura necessaria senza dover, ogni volta, rimettere mano all’arredamento dell’acquario. Anche le operazioni di manutenzione vengono incredibilmente semplificate. Il sump è alloggiato nel mobile sotto la vasca principale ed è collegato a questa attraverso un pozzetto di tracimazione per la caduta dell’acqua dall’acquario e attraverso un tubo di mandata collegato a un pompa che rimanda l’acqua nella vasca principale.

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La sump di un acquario marino nel dettaglio

La sump deve contenere un livello d’acqua di almeno 15-20 cm, cioé quanto basta a innescare e far funzionare le pompe durante il normale funzionamento dell’acquario. Nel caso il livello sia troppo basso c’è il rischio che le pompe girino a secco e si brucino.
Il volume della vaschetta filtri deve essere proporzionato alle dimensioni della vasca, in genere va bene un 10-15 per cento del volume dell’acquario. Ma nel progettare il volume della sump – come vedremo di seguito – occorre tener conto anche di un altro aspetto: deve contenere tutti i litri d’acqua che potrebbero scendere dalla vasca principale in caso di guasto o black-out.
All’interno della sump vanno posizionati la pompa di ritorno in vasca dell’acqua, la pompa che alimenta lo schiumatoio, i sensori di livello dell’acqua, i riscaldatori e le sonde dei controllers. Nella sump inoltre possiamo alloggiare la pompa del refrigeratore, il reattore di Calcio (se il modello non è stagno) ed altri accessori che si rendessero necessari. Da tutto ciò si evince che più la sump sarà grande, meno problemi avremo.
Nel valutare le dimensioni minime della sump – come abbiamo detto – dobbiamo tenere presente una regola fondamentale: deve contenere con ampio margine tutta l’acqua che scende dalla vasca principale quando la pompa di mandata si ferma. Questo accorgimento ci consente di evitare possibili allagamenti in caso di black-out o di guasto alla pompa. Nel caso di un inconveniente alla pompa di mandata, infatti, nella vasca principale l’acqua continua a scendere fino a raggiungere il bordo superiore del pozzetto di tracimazione, poi si ferma. Tutti questi litri vanno semplicemente a riversarsi nella sump. In questo modo il rischio di allagamenti è praticamente zero. Quando la pompa riparte, il livello dell’acqua si ristabilisce automaticamente.
Per calcolare i litri esatti che potrebbero scendere nella sump dalla vasca principale, basta misurare la differenza di livello d’acqua a pompa spenta e a pompa accesa. La misura (difficilmente sarà superiore ai 2 cm) va moltiplicata per la superficie della vasca. In questo modo avremo il volume d’acqua che in caso di black-out si sommerà a quello già presente nella vaschetta. A questi due volumi aggiungiamo un’altra trentina di litri come margine di sicurezza. Ecco dunque calcolato il volume della sump.
Un altro accorgimento da prendere per evitare allagamenti è di posizionare la sump esattamente sotto la verticale dei raccordi in pvc che collegano il tubo di scarico e di mandata al fondo della vasca. In questo modo eventuali perdite o sgocciolamenti dei raccordi, cadranno nella sump senza creare alcun problema.

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SCHIUMATOIO

Classico esempio di metodo Berlinese sono gli schiumatoi di cui esistono tantissime varianti, ricordiamo le prime esperienze nei primi anni novanta, con schiumatoi che oggi farebbero sorridere, basati sull’areazione del tubo di contatto unicamente da pietre porose, sottodimensionati e per quello che è la tecnologia attuale, assolutamente inadatti; nonostante questo, si ottennero comunque i primi risultati positivi perchè si cominciava a distinguere tra acquario marino e acquario d’ acqua dolce che era l’unica esperienza dell’epoca, ricordate sempre che sono due cose molto diverse, spesso ci capita ancora, in negozio, di parlare con persone mal consigliate, che pensano di avere un’acquario marino, mentre hanno un’ acquario d’ acqua dolce salato, da cui non ricaveranno mai niente se non animali stressati e livelli di inquinamento molto elevati.

Lo schiumatolo e’ un altro degli accessori fondamentali in un berlinese, anni fa non lo si utilizzava, al suo posto si usavano i sistemi di filtraggio con conseguente accumulo di sostanze e nessuna rimozione se non effettuando cambi d’acqua, con l’avvento dello schiumatolo si iniziò a rimuovere gran parte delle sostanze che, a seguito della trasformazione batterica (ciclo dell’azoto e del fosforo), sarebbero diventate inquinanti. Oltre alla rimozione di queste sostanze lo schiumatolo ci aiuta nel rimuovere i terpeni che vengono secreti dai coralli per difendere il territorio, rimuove parte delle sostanze ingiallenti ed altro ancora.

Il metodo Berlinese ci suggerisce quindi l’utilizzo di uno schiumatolo potente così da ottenere dei valori dell’acqua il più possibile simili a quelli dell’acqua marina naturale.

Oggi gli schiumatoi sono molto più performanti rispetto ai “fratelli di qualche anno fa”, il loro corretto utilizzo ci permette di ricorrere ad una quantità inferiore di rocce da tenere in vasca. Lo schiumatoio non deve però essere considerato la panacea ad ogni male acquariofilo, questo va integrato nel sistema e deve essere parte bilanciata del sistema, non possiamo pensare di utilizzare uno schiumatoio estremamente potente quale rimedio al dare troppo cibo ai pesci o all’avere troppi pesci piuttosto che sovra-alimentare i coralli. Lo schiumatoio assieme alle sostanze nocive asporta elementi necessari, ad esempio lo iodio, ed uno schiumatoio troppo sovradimensionato rimuoverà troppo di quegli elementi necessari costringendoci ad un’eccessiva integrazione.

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ILLUMINAZIONE

L’illuminazione è fondamentale per la crescita dei coralli e per aiutare diverse reazioni chimiche essenziali alla vita dell’acquario.

Il metodo Berlinese prevede una quantità di luce molto elevata, la luce e’ fonte di cibo, la luce permetta ai nostri coralli di formare lo scheletro e quindi di crescere.
In un Berlinese classico vengono utilizzate lampade HQI da 400W o da 250W, con le prime e’ più semplice ricreare un’ equilibrio, la luce più potente permette ai coralli un maggiore accumulo di energia, con le seconde si dovrà fare maggiore attenzione ai valori dell’acqua.
Sappiamo che l’intensità luminosa a mezzo giorno sul reef e’ di circa 100.000 lux e la gradazione Kelvin e’ circa di 6.500°K, la quantità di luce e’ decisamente elevata, con una lampada da 400W raggiungiamo circa 40.000 lux.

Molto importante e’ il fattore cromatico della luce, ovvero la temperatura espressa in gradi Kelvin. I gradi Kelvin corrispondono ad un valore medio della curva di risposta della luce emessa dalla lampadina, maggiore e’ il valore dei gradi Kelvin, maggiore e’ la tonalità chiara e quindi azzurra e poi blu della luce. Una tonalità di 10.000°K e’ quella maggiormente utilizzata nelle vasche marine reef anche se una gradazione leggermente superiore risulta più gradevole ma con una potenza luminosa inferiore.

Ancora oggi si utilizzano HQI da 400W e da 250W, alcuni affiancano lampade T5 per tagliare la luce emessa dalle HQI al fine di rendere più gradevole ai nostri occhi la luce emessa, altri sono passati all’utilizzo di plafoniere totalmente T5, al momento reputo ancora troppo presto per poter fare dei paragoni, non ho abbastanza dati sulle T5 da poterle confrontare con le HQI.

Oggi a differenza di anni fa ci si e’ concentrati sulla diffusione della luce e sull’ottimizzazione di quest’illuminazione, questo accanimento e’ dettato dal fatto che con le plafoniere che si utilizzavano anni fa disperdevamo gran parte della luce e non sfruttavamo appieno la potenza luminosa, oggi grazie a materiali molto più performanti riusciamo a sfruttare al meglio la luce, molti riflettori sono prodotti con materiali con un’ indice di rifrazione elevato che appunto ci permette di sfruttare il 97% della potenza luminosa. Facciamo quindi molta attenzione ad illuminare la vasca con riflettori che coprano lo specchio della vasca senza lasciare zone d’ombra e soprattutto senza disperdere luce al di fuori della vasca.

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L’illuminazione in un acquario marino.
Abbiamo due soluzioni per illuminare una vasca di barriera: le tradizionali lampade al neon e i proiettori a bulbi HQI. Preferiamo soffermarci solo sull’illuminazione con bulbi HQI. Questo sistema (benché sul mercato ormai esistano lampade al neon di pari qualità) alla fine sembra essere il più efficace per ottenere dei buoni risultati con crescita rigogliosa dei coralli duri.
Ha solo due controindicazioni: le lampade sviluppano molto calore (e d’estate questo sappiamo quanto sia un problema per la vasca) e un impianto ha costi ragguardevoli sia per quanto riguarda l’acquisto che per il consumo di energia elettrica. Tuttavia la luce HQI ha effetti straordinariamente simili alla luce solare e al pari di questa è efficace per la salute e la crescita degli invertebrati.

L’illuminazione in un acquario marino in dettaglio

HQI è una sigla in inglese che nell’uso corrente è diventata sinonimo di lampade ad alogenuri metallici, ossia “metal halide lamps”.
Sotto questa sigla troviamo ormai una moltitudine di modelli. Si distinguono per potenza e per temperatura della luce, misurata solitamente in gradi Kelvin. La temperatura della luce è una caratteristica fondamentale sia perché incide in maniera diretta sulla salute dei coralli, sia perché cambia la tonalità del colore della vasca. Teniamo presente che la luce solare, in condizioni normali, ha una temperatura di colore pari a 5.500 °K. Salendo a temperature più alte avremo una luce più fredda (meno rossastra e più azzurrina) che darà alla vasca un aspetto incredibilmente naturale. In commercio per l’uso acquariofilo esistono lampade dai 5.000 ai 20.000 °K.

Prima di acquistare un impianto d’illuminazione, è bene sapere quali specie di coralli si ha intenzione di inserire. Un’altra caratteristica importante da tenere in considerazione è la profondità dell’acquario.

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Ecco uno schema dei più comuni sistemi d’illuminazione con bulbi HQI:

150 w da 5.500 a 14.000 °K
250 w da 6.000 a 20.000 °K
400 w da 6.500 a 20.000 °K
1000 w da 6.500 a 20.000 °K

Per orientarci sulla potenza adeguata dell’illuminazione teniamo presente questa formula: 1 litro = 1 watt

Una vasca da 300 litri, per esempio, necessita di almeno 300w di potenza.

Ma molte variabili possono modificare la formula: la profondità e le specie di invertebrati presenti in vasca. Facciamo un esempio. Una vasca da 300 litri potrebbe avere diverse dimensioni:

Lunghezza in cm.

Larghezza

Altezza

Numero di lampade

150 50 40 2 x 150 w
120 50 50 2 x 150 w
100 50 60 1 x 250 o 400 w
85 50 70 1 x 400 w

Tutte le vasche di questa tabella hanno una capienza lorda di circa 300 litri. Ma le variabili che a noi interessano sono solo la profondità e la lunghezza. Quest’ultima serve a determinare il numero di lampade necessarie ad illuminare tutta la superficie dell’acquario. La profondità ci è indispensabile per decidere la potenza.

Ora arriviamo alla terza variabile per determinare il tipo d’illuminazione per l’acquario: quali specie di invertebrati vogliamo allevare?

Ecco un nuovo schema:

A 70% coralli molli 10% pesci 20% altri invertebrati 150 w o +
B 70% coralli duri 10% pesci 20% altri invertebrati 250 w o +
C 70% coralli duri 5% pesci 15% tridacne e 10% altri invertebrati 400 w o +

Proviamo ora a sovrapporre i tre sistemi di valutazione per la scelta dell’illuminazione in vari esempi:

Capienza lorda dell’acquario = 300 litri

120 x 50 x 50 Gruppo C 1 x 400 w
120 x 50 x 50 Gruppo B 1 x 400 w
120 x 50 x 50 Gruppo A 2 x 150 w
150 x 50 x 40 Gruppo C 2 x 250 w
150 x 50 x 40 Gruppo A 2 x 150 w
85 x 50 x 70 Gruppo A 1 x 250 w
85 x 50 x 70 Gruppo B/C 1 x 400 w

Una volta identificato il numero di HQI necessarie e la loro potenza, dobbiamo scegliere quale temperatura colore usare.

La temperatura colore della luce presente sulla sommità dei reef è compresa tra i 5.500 ed i 6.500 °K. In acquario questa luce tende ad avere un aspetto giallastro e meno realistico dei 10.000 °K. Quest’ultima temperatura colore è l’ideale per un acquario di barriera misto perchè‚ con la sua tonalità leggermente più blu e fredda, rende l’aspetto della nostra mini barriera molto più naturale.

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Alcuni acquariofili adottano lampade a temperatura colore di 15.000 o 20.000 °Kelvin che danno all’acquario una tonalità fin troppo blu scura. In natura questa luce non si trova sul reef di superficie ma oltre i 15 metri di profondità.

Le luci HQI sono carenti di uno spettro luminoso importante per gli invertebrati: la luce blu attinica. Quindi accanto ai proiettori HQI, dovremmo installare un tubo al neon superattinico di lunghezza e wattaggio adatto alla vasca.

Quanto alle ore d’illuminazione, un fotoperiodo adeguato va dalle 8 alle 10 ore al giorno. La fase di accensione e spegnimento deve essere graduale per simulare quanto più possibile l’effetto alba/tramonto. In genere gli impianti sono dotati di un ballast elettronico che consente un’accensione lenta dei bulbi HQI. Una volta spente le luci, prima di una nuova riaccensione è necessario aspettare che i bulbi si raffreddino.

Nelle ore notturne per simulare la presenza della luna e dare ancora più naturalezza all’aspetto della vasca, è possibile installare una piccola luce blu da 3/4watt. In commercio, inoltre, esistono controller in grado di gestire l’intensità luminosa di una piccola lampada in modo da riprodurre lungo l’arco di un mese le fasi lunari. Si tratta di accessori costosi ma alcuni ricercatori sostengono che, in natura, la successione delle fasi lunari abbia un ruolo di rilievo nella crescita dei coralli.

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In un nanoreef, date le dimensioni ridotte può essere difficile adottare soluzioni classiche come HQI o T5 (anche solo per la loro lunghezza). L’avvento però della tecnologia LED ci permette di avere sempre più scelta e di poter ospitare anche i coralli più esigenti di luce nel nostro nanoreef pur mantenendo le spese d’esercizio (corrente elettrica) entro un certo limite.

Illuminazione acquario marino, LED, NEON e HQI, differenze

Come tutti sappiamo la luce è fondamentale per la vita sia degli animali, sia dei vegetali (fotosintesi clorofilliana) e le scelte che troviamo in commercio vertono sulle seguenti lampade: proiettori a bulbi HQI, lampade fluorescenti lineari a tubo NEON T5 T8 o PL (lampade piegate), o sulle plafoniere a LED. Prima di elencare le principali differenze tra le 3 e capire come utilizzarle, bisogna che tu sappia che grazie alla luce, si realizzano tutte le reazioni chimiche che permettono sia il riciclaggio dei nutrienti, come lo sviluppo delle zooxantelle e il fitoplancton sia lo sviluppo dei coralli fotosintetici, sia il corretto sviluppo di invertebrati e pesci.

La maggior parte dei coralli presenti nei nostri acquari vivono, in natura, a profondità comprese fra pochi metri, SPS dai circa 30 cm ai 5 mt, LPS dai 5 ai 10 mt e i coralli molli ai 15-20 metri dove la gradazione in kelvin varia a seconda della profondità mentre invece nei nostri acquari si trovano a vivere a profondità comprese fra i 5 ed i 50 cm, quindi sarà compito nostro gestire e calcolare i vari punti di colore e le varie altezze alle quali dovranno essere posizionati i coralli.

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Per quanto riguarda la quantità di luce possiamo dire che la potenza adeguata ha all’ incirca questo rapporto: 1 litro = 1 watt ma se vogliamo entrare nello specifico; per soli pesci e coralli molli, ci possiamo attestare su una quantità modesta di luce, ovvero 0.5 watt/litro. Per i coralli duri a polipo grande una media quantità e per icoralli duri a polipo piccolo invece una grande quantità.

Il fotoperiodo, quindi le ore di accensione delle lampade vanno dalle 8 alle 10 ore al giorno. La fase di accensione e spegnimento deve essere graduale per simulare quanto più possibile l’effetto alba/tramonto, e generalmente è fatta tramite centraline apposite, sopratutto con le plafoniere a Led. Un’altra cosa utile per molti animali è la luce lunare, caratterizzata da un colore blu scuro, è importante per alcuni invertebrati che basano il loro ciclo riproduttivo sulle fasi lunari, e comunque ci permetterà di osservare il nostro acquario anche nelle ore notturne ed esalterà le fluorescenze.

Vediamo i pregi e i difetti dei i 3 tipi di lampade che troviamo in commercio:

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Le Lampade HQI: ormai di vecchia generazione hanno un costo all’acquisto non elevatissimo, ma purtroppo per il loro scarso rendimento energetico hanno un altissimo consumo elettrico, inoltre riscaldano parecchio la superficie dell’acqua, cosa che d’inverno può essere un vantaggio, ma d’estate sicuramente uno svantaggio. Devono essere cambiate almeno una volta l’anno.

 

 

Lampade a tubo NEON T5 T8 o PL: possono essere una valida alternativa alla HQI poiché dettaglioot2consumano leggermente meno anche se la loro efficienza energetica non è ottimale, anche loro innalzano la temperatura dell’acqua poiché irradiano calore, e devono essere combinate per avere determinati spettri luminosi, hanno un prezzo all’acquisto veramente basso, ma purtroppo devono essere sostituite 1 volta ogni 6 mesi.

 

 

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Plafoniera a Led: rappresentano un grande investimento iniziale (arriviamo a superare anche i 2000 euro) ma hanno un efficienza luminosa eccellente, in quanto i consumi elettrici saranno veramente bassi e non incrementeranno la temperatura dell’acqua. Inoltre le plafoniere Led riescono a risaltare maggiormente i colori fluorescenti dei coralli e sono generalmente già combinate per tutti gli eventuali spettri e gradazioni kelvin, spesso sono dotate di centraline che riprodurranno alba, giorno, tramonto e fasi lunari, e una volta acquistate, se di buona qualità, non dovranno essere mai cambiate. L’ efficienza e la durata dipendono dal raffreddamento del led, più sarà raffreddato e più durerà nel tempo.

La gestione Berlinese richiede un apporto molto importante di luce con un fotoperiodo di 12 ore.

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Led contro HQI

In un interessante articolo apparso qualche tempo fa su ReefBuilders, l’autore Mark van der Wal ci descrive la sua esperienza con la luce led e le differenze di crescita riscontrate nella sua vasca nel passaggio alla nuova tecnologia.

Come noto ormai, la direzione intrapresa dalla totalità dei produttori di lampade per acquariologia è quella dei LED. Sicuramente questa scelta va incontro ad un mercato che è sempre più spinto sull’onda dell’innovazione tecnologica. L’acquariofilo tipo, con un accento particolare su quella parte di noi che predilige l’acqua “salata”, è sempre ben disposto a gettarsi a capofitto nelle novità che il mercato propone. E questa volta la scelta pare anche giustificata dalla possibilità di tagliare una fetta della bolletta energetica. In effetti chi ha scelto come passione l’aquariologia, in tutte le sue sfaccettature, non può non scoprirsi un po’ anche amante della natura, e da questo punto di vista avere a cuore anche il risparmio energetico non può che essere un aspetto positivo, oltre al benessere che può in qualche modo dare al nostro portafoglio. Lasciamo stare comunque i costi connessi con gli investimenti iniziali per il passaggio alla tecnologia LED, di cui parleremo in altra occasione, e focalizziamo l’attenzione sull’aspetto puramente tecnico.

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Sì perché apparentemente la tecnologia LED impiegata in acquaristica sembrerebbe non avere controindicazioni: è economica (spesa iniziale a parte), è eco-sostenibile, visivamente gratificante, praticamente eterna se confrontata alle “vecchie” tecnologie. Basterebbe questo a giustificare l’uscita immediata dal commercio di qualsiasi altra soluzione, che per un motivo o per l’altro non avrebbe molto da competere con i tanto amati diodi luminosi.

Ma siamo poi così sicuri che gli effetti per i nostri animali in vasca siano totalmente benefici? In effetti non esiste una casistica studiata con metodo scientifico che ce lo confermi, ma d’altra parte nulla ha ancora dimostrato il contrario. Le plafoniere LED sono esteticamente belle, si vendono bene, i coralli crescono… e allora perché non produrle?

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Ecco perché ho trovato molto interessante questo articolo, che pur non entrando in dettagli tecnici troppo complessi è riuscito a descriverci una esperienza vissuta e darci qualche valido elemento di discriminazione nella scelta del tipo di illuminazione per la nostra vasca.

Per chi ha voglia di leggere e di approfondire il link è il seguente: http://reefbuilders.com/2013/04/22/bridging-revising-metal-halides-time-leds/

Risultati immagini per illuminazione A LED acquario marino

per tutti gli altri riassumiamo qui sotto i punti salienti.

L’autore ci spiega che, dopo qualche mese di utilizzo dei LED nel suo acquario, aveva notato che le acropore, ed i coralli ramificati in genere, che fossero in uno stadio già avanzato di crescita, cominciavano a soffrire nelle zone inferiori, quelle per intenderci che erano sotto il cono di ombra generato dalle stesse formazioni coralline… fin qui niente di nuovo, in effetti non è un caso isolato che un corallo, nella sua crescita cominci a gettare ombra alla sua base, fino a renderne precarie le condizioni di salute e sbiancare. La cosa strana era che nessun corallo di tipo piatto o a stolone sembrava soffrirne, così come gli LPS apparivano in buona forma. Il passo successivo, con il ripristino della vecchia illuminazione di tipo ad alogenuri misto T5 si era ben presto dimostrato risolutivo facendo tornare crescita e colori anche alla base dei coralli.
Ora se ci fermiamo a riflettere su come sono configurate la maggior parte delle plafoniere presenti in commercio, ci accorgeremo ben presto che tutte, salvo qualche eccezione, hanno una grossa concentrazione di LED in una o più zone pressochè centrali per ottenere il massimo guadagno luminoso al centro della vasca. Si sente spesso parlare di 
PAR come unico parametro per definire la resa di una plafoniera. Questa in realtà è una concezione falsata o quantomeno riduttiva della problematica, in quanto il risultato finale in termini di luce non si ha soltanto sparando una grossa quantità di flusso luminoso su una determinata area, ma anche garantendo una copertura uniforme su tutta la zona interessata.
Una delle caratteristiche dei LED è quella di configurarsi come una sorgente luminosa puntiforme. Ottima cosa sicuramente, in quanto molto più vicina alla luce solare, che di per sé è una sorgente puntiforme. Da questo ne deriva la grande quantità di fasci luminosi e il bellissimo effetto “glitter” che i LED possono vantare nei confronti per esempio di una sorgente attinica. Ecco perché dal punto di vista visivo una vasca illuminata con sorgente puntiforme (LED o HQI) è decisamente più gratificante di una che utilizzi solo T5, che notoriamente danno un senso di appiattimento alla scena.
Il problema sta nel fatto che la luce solare, nasce sì puntiforme, ma ad una distanza tendente ad infinito può essere considerata come una serie di fasci paralleli, quindi in natura arriva diffusa su tutta l’area; al contrario la sorgente LED è molto vicina al punto di arrivo, e pertanto il fascio luminoso è di natura conica. Ne consegue che qualsiasi oggetto interposto tra la sorgente ed il punto da illuminare produrrà un cono di ombra ben definito di intensità variabie in base all’ampiezza del fascio luminoso e di dimensioni tanto maggiori quanto minore la sua distanza dal punto di emissione della luce.
Tale cono di ombra sarebbe responsabile delle zone di “recessione” alla base dei coralli ramificati.
Il problema si presenta in maniera molto più leggera con le lampade HQI che pur essendo assimilabili ad una sorgente puntiforme, hanno un cono di diffusione molto più ampio, cono che nella quasi totalità delle plafoniere viene ulteriormente allargato con le parabole poste dietro al bulbo.
Quali sarebbero quindi le soluzioni proposte?
In questo caso, come di consueto, sarebbe superficiale parlare di una soluzione definitiva ed unica, in quanto molto dipende dal tipo e dalle dimensioni della vasca che andremo ad allestire. Insomma, mentre per le vasche di piccole dimensioni potremmo avere ottimi risultati con qualsiasi tipo di plafoniera, per quanto riguarda le vasche più grandi la disposizione dei LED sulla plafoniera potrebbe fare la differenza in termini di salute dei nostri ospiti in vasca.
In linea di principio possiamo affermare che una configurazione con un grosso quantitativo di LED disposti su una superficie maggiore sarebbe preferibile ad una che raggruppi pochi emettitori di potenza più elevata, ma concentrati un una zona più ristretta.

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L’utilizzo di lenti per aumentare l’angolo del fascio luminoso potrebbe essere un parziale rimedio, ma ciò comporterebbe l’impiego di LED più potenti facendo lievitare i consumi, così come aumentare il numero di LED a fronte di una superficie di copertura maggiore porterebbe inevitabilmente ad un aumento dei costi di gestione.
Inoltre, ove fossero impiegati diodi di vario tipo per aumentare il range in frequenza sullo spettro luminoso, aumentare la superficie e la distanza tra i vari emettitori potrebbe portare ad un fastidioso effetto di “dissociazione” dei colori evidente soprattutto guardando i contorni delle ombre.
Si potrebbero pertanto ipotizzare delle soluzioni ibride HQI-LED oppure LED-T5 che garantiscano una copertura completa non solo dello spettro luminoso in frequenza, ma anche dell’intera area da illuminare così da ridurre al minimo l’effetto ombra.
E mentre la prima costituirebbe di fatto una involuzione in termini di consumo energetico e resa per Watt, una 
configurazione mista LED-T5 (con i T5 a compensare le eventuali zone di ombra) sembrerebbe in definitiva quella più efficiente, in grado di coprire la maggior parte del fabbisogno luminoso soprattutto per vasche di dimensioni elevate, con un aggravio di costi tutto sommato contenuto, pur tuttavia con l’onere della sostituzione periodica dei T5.

In conclusione la scelta del LED per l’illuminazione in acquario è ormai universalmente riconosciuta come vincente, ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta comunque di un compromessonon esente da problematiche seppur di piccola natura, che soprattutto in alcuni casi (vasche molto grandi) sarebbe bene non sottovalutare, per non incorrere in guai anche seri con i nostri animali.

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L’acqua dell’acquario marino con metodo Berlinese

L’acqua salata del tuo Berlinese dovrà essere impeccabile. Per renderla perfetta quindi, come prima cosa dovrai impegnarti a fare cambi costanti e frequenti d’acqua del 10% ogni 15 giorni (se hai una vasca dai 450 litri in su puoi permetterti di fare il cambio del 10% anche una volta al mese). Il cambio d’acqua è fondamentale per rimuovere i rifiuti che le rocce e lo schiumatoio non sono riusciti a trasformare.
Aggiungi regolarmente oligoelementi, nel metodo Berlinese è importante per reintegrare tutte le sostanze che vengono degradate dall’azione dello schiumatoio e dall’assorbimento per osmosi dagli animali (coralli, crostacei, pesci) e dall’azione di tutte le sostanze assorbenti presenti nel metodo Berlinese (carbone attivo minerale, zeolite).

Solitamente l’aggiunta di oligoelementi si effettua nelle settimane in cui non si fanno cambi d’acqua per evitare un sovradosaggio di oligoelementi (già presenti nell’acqua) che potrebbe causare danni a coralli sensibili come le acropore. L’aggiunta dei vari oligoelementi è fondamentale soprattutto per la colorazione e la buona crescita di tutti i coralli duri SPS e LPS.

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Se chi ha acquari di grosse dimensioni non ha dubbi nel comprare un impianto ad osmosi inversa il proprietario del nanoreef potrebbe considerare l’opzione di comprare direttamente l’acqua d’osmosi dal proprio negoziante di fiducia (attenzione a non usare acqua distillata da supermercato), conviene in ogni caso controllare il residuo fisso (TDS), o meglio ancora la conducibilità, per assicurarsi che l’acqua sia di ottima qualità. Un’acqua purissima è infatti assolutamente necessaria non solo nel rabbocco ma anche nella preparazione dell’acqua per i cambi, in quanto un sale di buona qualità contiene tutti gli elementi necessari per la creazione di un’acqua perfetta.

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Il movimento dell’acqua nel Metodo Berlinese

Di fondamentale importanza ed in genere deve essere molto forte, il movimento serve a simulare le correnti oceaniche per eliminare la maggior quantità possibile di CO2, garantendo così un PH ottimale, superiore a 7,9. Muovendosi forte, l’acqua non fa depositare i sedimenti e i detriti sul fondo che potrebbero far proliferare i cianobatteri. Aiuta i coralli a nutrirsi stimolandoli ad estroflettere i tentacoli che si allungano nell’acqua per catturare il cibo, aiutano la pulizia del corallo dalle mute, ed assicurano un adeguato scambio gassoso. Inoltre, mantenendo il movimento continuo, i sedimenti e i detriti riescono a raggiungere lo schiumatoio più facilmente dove saranno eliminati.
La 
potenza del movimento dipende anche da ciò che si vuole allevare.

  • Coralli molli: la potenza del movimento dovrà essere di 20 volte superiore il volume della tua vasca. Se quindi il tuo acquario è 110 litri lordi, la potenza delle pompe dovrà essere di almeno 2000 litri/ora.
  • Coralli duri: richiedono molta più potenza dei molli, circa 30 volte il volume della tua vasca. Se quindi il tuo acquario è di 110 litri lordi, la potenza delle pompe dovrà essere di almeno 3300 litri/ora.

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In mare le correnti e le maree producono un fortissimo movimento dell’acqua, questo movimento in natura serve per apportare acqua nuova con un ricircolo continuo, apporta svariate forme planctoniche che servono da nutrimento al reef, viene generato un forte scambio gassoso con conseguente ossigenazione dell’acqua ed aiuta ad evitare i depositi sui coralli.
Nel nostro reef casalingo dobbiamo cercare di simulare quanto più possibile queste condizioni, quindi il metodo Berlinese ci suggerisce l’utilizzo di pompe di movimento (esclusa la pompa per la risalita che non viene considerata in questo calcolo) in misura di dalle 10 alle 20 volte il volume della vasca a seconda degli animali che ospitiamo.

L’ elevato movimento dell’acqua consigliato oggi e’ persino superiore a quello consigliato con il metodo Berlinese iniziale, personalmente utilizzo un movimento di 40 volte il volume dell’acquario. La misura espressa in numero di volte e’ un dato che però da solo significa poco, e’ importante che tutte le zone della nostra vasca ricevano un buon movimento.
Oggi a differenza di anni fa si utilizzano pompe a bocca larga, queste pompe danno un flusso molto più aperto e dolce di modo da infastidire meno i coralli rispetto al getto concentrato.
Per aumentare lo scambio gassoso e’ necessario che le pompe smuovano energicamente il pelo dell’acqua increspando il nostro specchio d’acqua, allo stesso tempo e’ necessario che le pompe smuovano anche eventuali sedimenti sui coralli e permettano la rimozione del muco dai coralli.

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Pompa di movimento

POMPE DI CIRCOLAZIONE

Le pompe di circolazione sono letteralmente il cuore pulsante dell’impianto. Vanno suddivise in due categorie: pompe di mandata e pompe di movimento. Le prime garantiscono la circolazione dell’acqua dalla stazione di filtraggio posta nella sump all’acquario vero e proprio, le altre hanno il compito di creare un movimento vigoroso indispensabile alla salute degli invertebrati e allo scambio di gas tra la superficie dell’acqua e l’aria.

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Pompa di mandata

Pompe circolazione e movimento acqua in un acquario marino nel dettaglio

La pompa di mandata ha il compito di far tornare nell’acquario l’acqua scesa nella sump. Ne esistono di due tipi: a immersione oppure a secco. I modelli che lavorano a secco vanno installati al di fuori del sump e collegati a questo attraverso un raccordo stagno. Di solito si tratta di pompe molto affidabili ma anche assai costose. Il vantaggio di questa soluzione è che la pompa dissipa il proprio calore nell’aria senza aumentare la temperatura dell’acqua, cosa che, soprattutto d’estate, potrebbe creare non pochi guai. Lo svantaggio è che nell’impianto avremo un raccordo in più e dunque un’ulteriore possibilità di perdite d’acqua o di sgocciolamenti.

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I modelli più comuni di pompe lavorano a immersione. Sono più semplici da montare e più economici. Vanno alloggiati direttamente nel sump sotto la verticale del tubo di mandata. Quanto alla potenza, in entrambi i casi va considerata nel complesso, tenendo presente cioé anche la potenza delle pompe utilizzate per la movimentazione dell’acqua. Un acquario Berlinese, complessivamente, ha bisogno di una potenza di pompe pari a venti volte il volume dell’impianto. In altre parole: una vasca da 300 lt dovrà avere una potenza di pompe pari o superiore a 6.000 lt/h. Naturalmente è meglio privilegiare la potenza delle pompe di movimento. Anche in vasche medio-grandi una pompa di ricircolo di 2-3.000 lt/h può svolgere egregiamente il proprio compito.

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Pompa di movimento

Veniamo ora alle pompe di movimento. In mare aperto, le correnti sono un fattore fondamentale per la crescita degli organismi: trasportano cibo, uova, sperma, larve e mantengono pulita e ossigenata la superficie degli invertebrati. Nell’acquario è possibile ricreare delle condizioni simili usando pompe di movimento da posizionare nella vasca sump o, meglio, direttamente in acquario. Il numero di pompe di movimento varia in base alla capacità della vasca principale. Come abbiamo detto‚ la potenza totale dovrebbe corrispondere a circa 20 volte il volume d’acqua dell’impianto.

Oltre alla potenza conta anche lo sviluppo delle correnti. Una corrente vigorosa che per 24 ore al giorno “spinge” sempre nella medesima direzione non può che infastidire o danneggiare gli invertebrati. Dobbiamo dunque fare in modo che in vasca ci sia un movimento vigoroso che coinvolge tutta la massa d’acqua rimescolandola di continuo, in modo da non avere zone morte dove si depositano sporcizia e sedimenti. Esattamente come succede sul reef.

Una volta posizionate le pompe di movimento nei punti strategici della vasca, dobbiamo azionarle attraverso un sistema di timers in maniera che la corrente cambi di continuo direzione. Lo schema più semplice prevede l’utilizzo di 4 pompe: due per ogni lato corto opposto della vasca, in modo che le due coppie di pompe “si guardino”. Azionando le coppie in maniera alternata ogni 6 ore con un timer, otterremmo qualcosa di simile al flusso e al riflusso della mare: una corrente che va in una direzione per 6 ore e una corrente opposta per le 6 ore seguenti.
Oppure con un po’ di fantasia si possono programmare i timers in modo da simulare il naturale movimento vorticoso e caotico dell’acqua: colleghiamo tre timer ad altrettante pompe e programmiamoli in modo che le spengono per 10 minuti a turno ogni mezzora. In questo modo avremo momenti in cui vi sono tutte le pompe in funzione, oppure solo una, oppure due.

Risultati immagini per pompe di movimento acquario marino con controller

Sul mercato oggi è possibile trovare apparecchi elettronici che consentono di controllare il funzionamento delle pompe secondo programmi preimpostati. Alcuni sono persino in grado di simulare il moto ondoso e la calma notturna. Questi strumenti, solitamente portano nomi come: “Wave master” o “Wave controller”. Sono molto costosi ma, se la disponibilità economica non manca, val la pena di utilizzarli.

Risultati immagini per pompe di circolazione in acquario

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CAMBI D’ACQUA

Per quanto riguarda i cambi d’acqua sono più facili da effettuare che nei grandi acquari, infatti può già bastare un secchio d’acqua di piccole dimensioni per ottenere un cambio del 10%.

I cambi d’acqua sono necessari per reintegrare gli elementi che vengono consumati e rimossi tramite lo schiumatolo, alcuni di questi elementi si possono integrare con integratori specifici (Iodio, Stronzio etc.) mentre altri non li si riesce a reintegrare ed e’ pertanto necessario effettuare cambi d’acqua.

I cambi d’acqua sono inoltre necessari per rimuovere gli accumuli di sostanze che non vengono schiumate.
E’ consigliato l’utilizzo di un sale di prima qualità, oggi si trovano in commercio svariati marchi di sale, sceglietene uno di comprovata qualità.
I cambi si devono effettuare creando meno sofferenze possibili, per fare questo si deve avere l’accortezza di portare alla medesima temperatura e salinità di quella che abbiamo in vasca.
La quantità d’acqua da cambiare in una vasca reef e’ pari al 5% settimanalmente, se non fosse possibile effettuare cambi settimanali si può effettuare il cambio del 10% ogni due settimane.

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TEMPERATURA

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La temperatura in un acquario marino.
Una delle caratteristiche essenziali per mantenere una vasca di barriera in regioni climatiche con caratteristiche differenti da quelle di provenienza delle specie allevate, è di assicurare in inverno e d’estate la giusta temperatura dell’acqua. Durante tutto l’arco dell’anno la temperatura dovrebbe essere mantenuta intorno ai 25 C°.
D’inverno è sufficiente utilizzare uno o più riscaldatori di potenza adeguata. D’estate, se la temperatura nell’appartamento o nel locale dove è sistemata la vasca, dovesse superare i 28, 29° gradi è indispensabile dotare l’impianto di un refrigeratore.

La temperatura in un acquario marino nel dettaglio

Una temperatura media di 25° è la più adatta per mantenere in salute la maggior parte delle specie di pesci e invertebrati tropicali di barriera corallina. In natura infatti, il 90% dei reef, presentano temperature comprese tra i 22 ed i 28 gradi, nei primi 5/10 metri di profondità.
Per mantenere un valore medio nell’allevamento di specie tropicali, è meglio evitare sbalzi continui e mantenere i 25 gradi il più possibile, con un’accettabile lieve aumento d’estate di massimo 2 gradi.
D’inverno, per assicurare la giusta temperatura in acquario, il sistema più diffuso è l’uso di un termoriscaldatore a resistenza che, secondo la capienza della vasca da scaldare, 
varierà nel wattaggio.
In commercio si trovano termoriscaldatori dai 15w ai 300w.
Privilegiare quelli di case note del settore e non utilizzare termoriscaldatori molto economici; un blocco in funzionamento acceso porterebbe alla perdita dell’intera vasca.
I termoriscaldatori vanno posizionati nel sump oppure in angoli della vasca non raggiungibili da pesci o invertebrati. L’ideale sarebbe acquistare anche un controller elettronico con il quale comandare il riscaldatore in modo da mantenere costante la temperatura con una precisione che arriva al decimo di grado.
Al contrario, durante il periodo estivo, la temperatura tende a salire, anche per l’azione delle lampade che scaldano la superficie dell’acqua.
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Se la temperatura dovesse attestarsi per numerosi giorni oltre i 28, 29° dovremo provvedere a raffreddare la vasca. Oggi sono in commercio refrigeratori di tutte le dimensioni e di varia potenza che assicurano un temperatura costante anche durante le giornate più torride. Il tipo più comune funziona come un normale frigorifero dotato di compressore e ventola di raffreddamento. Una pompa (di solito non in dotazione) spinge l’acqua dalla vasca attraverso il refrigeratore. Qui viene raffreddata grazie al contatto con delle serpentine metalliche nella quali scorre un fluido mantenuto a temperatura molto bassa dal compressore.

Poi l’acqua rientra in vasca.
In commercio oltre ai semplici refrigeratori, esistono veri e propri climatizzatori: apparecchi in grado di riscaldare l’acqua d’inverno e di raffreddarla d’estate.
Queste due ultime soluzioni non sono certo assai economiche. Per risparmiare si può ricorrere ad un metodo più semplice: un ventilatore posizionato in modo da soffiare sulla superficie dell’acqua. Non avrà di certo l’efficienza di un condizionatore, ma in caso di emergenze limitate può funzionare.
La temperatura è sempre stata tema di dibattito tra gli acquariofili ed i biologi, e nel corso degli anni si sono fatte interessanti scoperte a riguardo. In relazione a studi effettuati in quelle zone di reef dove i valori della temperatura raggiungono picchi estremi, come 17°C il più basso mai registrato, e 34°C il più alto mai registrato, sono state formulate delle ipotesi sul perché dello sviluppo di certe specie di coralli ed altre no.
E’ stato scoperto che in queste zone estreme, vivono poche specie, quelle che apparentemente hanno maggiori capacità d’adattamento a periodi di esposizione a valori così insoliti.
La maggior parte dei coralli ed invertebrati di barriera sono così suscettibili agli sbalzi ed ai cambiamenti di temperatura, da mutare persino il proprio comportamento riproduttivo e di sviluppo.
Da questa ricerca si è scoperto che la crescita della maggior parte delle Sclerattinie, si riduce di oltre il 60% con temperature sotto i 22/23 gradi.
Con un’esposizione prolungata a temperature superiori ai 28/29 gradi invece, la maggior 
parte delle Sclerattinie tende allo sbiancamento.
Sempre da questo studio, si è potuto osservare che la temperatura ideale che permette agli invertebrati tropicali di barriera, una crescita costante e veloce, si trova compresa tra i 24 ed i 26 gradi.

Risultati immagini per riscaldatore in acquario marino

OSMOREGOLATORE

il nome sembra difficile ma il sistema è semplice e di grande utilità. Si può anche costruire da soli.
Ecco di cosa si tratta. Una vasca aperta è soggetta ad una consistente evaporazione che può giungere anche all’1-2 per cento dell’intero volume d’acqua. Ciò significa che una vasca di 500 litri può perdere oltre 5 litri d’acqua al giorno. L’osmoregolatore non è altro che un sistema di rabbocco automatico dell’acqua evaporata, basato su una piccola pompa, un sensore di livello e un serbatoio con l’acqua d’osmosi necessaria al rabbocco.
Sottolineamo subito che l’acqua che evapora è acqua distillata (i sali non evaporano) per cui quando andremo ad aggiungere ciò che se ne è andato per evaporazione, dovremo ripristinare il livello solo ed esclusivamente usando acqua d’osmosi. Se utilizzassimo acqua salata, nel giro di breve tempo finiremmo per aumentare vistosamente la densità dell’acqua.

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L’osmoregolatore in un acquario marino nel dettaglio

L’effetto dell’evaporazione dell’acqua in una vasca aperta si presenta sia d’inverno che d’estate. Maggiore è la differenza di temperatura tra l’acqua della vasca e l’ambiente in cui si trova, maggiore sarà la percentuale di evaporazione. Se per esempio d’inverno teniamo la vasca con l’acqua a 25° in una stanza non riscaldata, possiamo essere certi che l’evaporazione sarà talmente elevata da appannare i vetri delle finestre. Con un tasso di umidità anche del 97-98 per cento. Viceversa, d’estate, una vasca refrigerata con una temperatura sempre di 25° posta in un locale dove la temperatura supera i 30°, avrà un’evaporazione più contenuta.

Il fenomeno dell’evaporazione ha due gravi ripercussioni: un effetto sull’impianto idraulico ed un effetto sulle caratteristiche fisiche dell’acqua. Se c’è evaporazione, naturalmente, cala il livello dell’acqua in vasca. Con il passare dei giorni, se non aggiungiamo acqua d’osmosi, le pompe degli accessori che si trovano nel sump non avranno più un livello d’acqua sufficiente per lavorare. Si bloccheranno e potrebbero anche bruciarsi. Il sistema andrà in tilt e, senza circolazione d’acqua, nel giro di poche ore pesci e invertebrati potrebbero morire per mancanza di ossigeno.

Anche l’effetto sulle caratteristiche fisiche dell’acqua non è da trascurare: l’evaporazione provoca un lento ma costante aumento della salinità. L’effetto è meno devastante del primo ma, a lungo termine, non può essere tollerato dagli organismi.

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Dunque per compensare l’evaporazione abbiamo due alternative: o aggiungere ogni giorno alcuni litri d’acqua d’osmosi, oppure attrezzarci con un semplice impianto automatico, cioè l’osmoregolatore. Nel primo caso avremo il fastidio di un’operazione giornaliera e un solo vantaggio: il rabbocco quotidiano potrebbe essere l’occasione per somministrare insieme all’acqua d’osmosi anche la Kalkwasser, ottima per la crescita dei coralli duri.
Nel secondo caso possiamo acquistare un osmoregolatore già pronto (sono piuttosto costosi) oppure tentare la via dell’autocostruzione. In Internet non è difficile trovare lo schema per realizzare un impianto del genere. Per costruire un osmoregolatore bastano: una pompa anche di modestissima potenza (500 lt/h); un sensore di livello (o interruttore galleggiante); una presa volante; una spina elettrica; un metro di filo elettrico a due poli; tubo rigido per l’acqua; tubo flessibile ed infine una piccola cisterna che ci servirà da serbatoio. E’ chiaro che più grande sarà la cisterna, maggiore sarà l’autonomia dell’impianto automatico. L’interruttore galleggiante si trova nei magazzini di materiale elettrico più forniti, l’importante è che sia più piccolo possibile e che possa sostenere l’amperaggio di lavoro della pompa senza bruciarsi.

Risultati immagini per vasca rabbocco automatico acquario

In definitiva si tratta di realizzare un elementare impianto elettrico il quale attraverso l’interruttore galleggiante comanda l’accensione e lo spegnimento della pompa. Quest’ultima va posta nel serbatoio. Il tubo collegato alla pompa va posizionato in modo da versare l’acqua nel sump. Un’avvertenza fondamentale: la bocca del tubo deve sempre e assolutamente trovarsi ad un’altezza maggiore del livello d’acqua del serbatoio dell’acqua d’osmosi, pena un inevitabile allagamento. Nel sump posizioneremo anche l’interruttore galleggiante e lo tareremo all’altezza desiderata. L’interruttore va sistemato in un angolo tranquillo, lontano dal punto in cui il tubo di rabbocco scarica l’acqua. Andrà tenuto pulito con periodici interventi di manutenzione per evitare pericolose incrostazioni che potrebbero pregiudicare il corretto funzionamento. Anche in questo caso l’effetto è prevedibile: stanza allagata. Per lo stesso motivo è assolutamente sconsigliato inserire l’interruttore galleggiante nell’acquario: una lumaca o un qualsiasi organismo che decida di “esplorarlo” rischierebbe di attivare l’impianto di rabbocco automatico. Anche qui, l’allagamento è assicurato.
E’ molto importante che tutti i collegamenti elettrici vengano fatti a regola d’arte e sigillati con silicone. Con l’acqua salata e la corrente elettrica non c’è da scherzare.

Un impianto del genere può avere tre varianti.
La prima. Se desideriamo essere più che certi che l’impianto sia sicuro, invece di una normale pompa d’acquario possiamo utilizzare una pompa da tanica a bassa tensione. Si trovano nei negozi di campeggio, sono talmente piccole da passare dalla bocca di una comune tanica e funzionano a 24 volts. Basta alimentarla con un trasformatore di adeguato wattaggio e l’aspetto sicurezza sarà garantito.

Seconda variante. In commercio esistono numerosi modelli di controller elettronici che misurano la conduttività dell’acqua. La conduttività è un parametro strettamente legato alla densità. Tra questi modelli di conduttivimetri, alcuni sono in grado di controllare l’accensione e lo spegnimento di una determinata apparecchiatura, per esempio una pompa. Grazie a questo accessorio è possibile realizzare un sistema che, oltre a rabboccare l’acqua evaporata, è anche in grado di correggere eventuali abbassamenti di densità. Accanto al serbatoio d’acqua d’osmosi dovremo sistemare un serbatoio con acqua a densità molto elevata. In questo inseriremo la pompa collegata al controller: quando il sensore del conduttivimetro posto nel sump registrerà un abbassamento della salinità, metterà in azione la pompa.

Terza variante. Chi ripristina l’acqua d’osmosi nel serbatoio? Anche questa operazione può essere resa automatica. Dobbiamo montare l’impianto d’osmosi in prossimità del serbatoio e collegarlo alla rete idrica attraverso un’elettrovalvola. Nel serbatoio va inserito un secondo ulteriore interruttore galleggiante che “informa” l’elettrovalvola quando il livello dell’acqua d’osmosi è sceso e va quindi ripristinato.

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CALCIO

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La svolta nell’allevamento dei coralli duri in acquario si e’ avuta con l’immissione di calcio in vasca, inizialmente si e’ iniziato ad integrare utilizzando il reattore di acqua calcarea per poi prediligere l’utilizzo del reattore di calcio.
I coralli detti anche “costruttori” sono i coralli duri che abbiamo in acquario, questi coralli utilizzano calcio e carbonati assieme ad altri elementi per la loro crescita, e’ pertanto importante avere questi elementi in acqua sempre disponibili e bilanciati di modo che i coralli costruendo il loro scheletro possano portare avanti il processo di calcificazione.

oggi ogni vasca di barriera utilizza un reattore di calcio, difficilmente ci si affida alle polveri o ai liquidi in quanto si creano degli sbalzi in vasca non utilizzando di continuo i prodotti (a meno che si utilizzino dosometriche in continuo) inoltre diventa anche più conveniente economicamente l’utilizzo del reattore di calcio, questo apporta carbonati e calcio nella misura da noi desiderata semplicemente variandone la taratura.
Il reattore di acqua calcarea e’ ancora utilizzato, ma non più tanto quale apporto di calcio, bensì come “aiuto” per mantenere il livello del pH alto (il reattore di acqua calcarea va utilizzato con molta attenzione) e’ inoltre di aiuto nella diminuzione del fosfato.

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CARBONE ATTIVO

Nel Berlinese è consigliata anche la presenza del carbone attivo da inserire in sump, o se il tuo acquario è privo di sump puoi inserirlo in un filtro interno.

Negli acquari con gestione berlinese il carbone attivo è sempre consigliato, i nanoreef non fanno differenza. Nel caso dell’assenza di sump è possibile inserire il carbone attivo ed altre eventuali resine in un filtro interno o a zainetto accuratamente svuotato di spugne e lana di perlon che sono specifiche per il filtraggio in acqua dolce e producono i nitrati i quali sono invece da minimizzare nell’acquario marino.

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Il Carbone attivo in un acquario marino.
Il Carbone attivo è uno dei più efficaci materiali filtranti che l’acquariofilo abbia a disposizione. Si tratta di un materiale scuro dall’aspetto granuloso e microporoso in grado, quindi, di trattanere particelle e sostanze inquinanti come coloranti, medicinali e metalli pesanti. Non può invece eliminare i composti dell’Azoto (Nitriti e Nitrati).
Il suo effetto è rapidissimo: bastano poche ore per far tornare cristallina l’acqua di una vasca. La sua funzione filtrante è triplice: meccanica (le particelle in sospensione vengono bloccate dai pori del granulato); chimico-fisica (le sostanze disciolte vengono attratte elettrostaticamente e quindi “catturate”) ed infine può avere anche un’azione biologica (se il materiale non viene sostituito nell’arco di pochi giorni, nei micropori si insediano colonie batteriche che lavoreranno come un filtro biologico).
Per essere utilizzato, il Carbone Attivo va versato in speciali sacchetti di rete di nylon a maglie sottilissime, va quindi risciacquato in acqua tiepida e va poi inserito nel filtro. La capacità filtrante si esaurisce nel giro di pochi giorni. Una volta utilizzato va gettato via. L’uso non deve essere massiccio ma saltuario e nelle dosi consigliate.
Alcuni invertebrati (ad esempio Xenia sp.) pare vengano disturbati dalla presenza di Carbone attivo nel filtro.

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Il Carbone attivo nel dettaglio

L’uso del Carbone attivo, è sempre stato al centro di accese discussioni tra gli acquariofili. Ha un fortissimo potere adsorbente ma, purtroppo, non distingue tra quelli che sono gli elementi utili e quelli nocivi per un acquario. Funziona molto bene per eliminare sostanze coloranti, Fenoli ed alcuni composti organici ma non per la maggior parte degli ioni. E’ impensabile tentare di eliminare i Nitrati dalla vasca utilizzando Carbone attivo. Al contrario, per esempio, toglie elementi “utili” come lo Iodio. È inutile quindi dosare giornalmente lo Iodio in una vasca nella quale si usa Carbone attivo.

Gli appassionati più attenti avranno notato che non si parla di un semplice potere “assorbente” del Carbone attivo ma di potere “adsorbente”. Che significa? Significa che il Carbone attivo non solo filtra le particelle in sospensione nell’acqua ma anche ad-sorbe, cioé grazie alle proprie caratteristiche (chimiche, fisiche ed elettrostatiche) attira, cattura e trattiene le sostanze disciolte nell’acqua.
In un acquario di barriera, il Carbone attivo va impiegato solo in caso di necessità e va quindi rimosso dalla vasca nell’arco di pochi giorni (una o due settimane) perché si satura in fretta e il potere adsorbente si riduce drasticamente nel giro di pochi giorni. Lasciarlo in vasca per un tempo più lungo significa semplicemente trasformarlo in un filtro biologico.

La quantità consigliata di Carbone attivo è di circa di 0,7 litri per 500 litri d’acqua. Il Carbone attivo va versato in appositi sacchetti di nylon a maglia sottile e prima di essere utilizzato deve essere sciacquato in acqua calda. Durante quest’operazione l’aria esce dai micropori emettendo un caratteristico sibilo. Solo dopo questa operazione il materiale è pronto per l’uso. Non bisogna confondere questa fase chiamata “degassificazione” con la fase d’attivazione del materiale che viene effettuata industrialmente. L’acquariofilo stesso, durante la degassificazione, può determinare la qualità del prodotto: più veloce è il processo, migliore è la qualità del Carbone attivo.

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Il sacchettino con il Carbone attivo va sistemato in vasca. E’ meglio evitare di posizionarlo in modo che l’intero flusso d’acqua vi passi attraverso in maniera forzata. Piuttosto è preferibile lasciare il sacchetto adagiato, per esempio nel sump, in modo che il flusso lo lambisca soltanto. Il sacchetto va tolto prima di un cambio parziale dell’acqua.
In particolare è consigliabile l’uso di Carbone attivo quando l’acqua comincia ad assumere una caratteristica colorazione giallastra, segno del lento accumulo di Fenoli (sono il prodotto del “lavoro” dei batteri), ben visibile se si immerge in vasca un oggetto bianco (un piatto di porcellana) e lo si osserva attraverso il vetro dell’acquario.

Il Carbone attivo è anche un ottimo “paracadute” nel caso di improvvisi inquinamenti dovuti a sostanze tossiche, come per esempio metalli pesanti. E’ indispensabile usare il Carbone attivo, ad esempio, quando si nota una respirazione accelerata dei pesci, segno di avvelenamento, oppure quando sono stati usati medicinali in vasca (operazione, questa, da effettuare solo ed esclusivamente in una vasca di quarantena).
La differenza di qualità che contraddistingue i vari tipi di Carbone attivo è talmente elevata che l’acquariofilo farebbe bene a testare la qualità di un prodotto prima di utilizzarlo. Un test che possiamo effettuare è controllare il rilascio dei Fosfati. Durante i processi di carbonizzazione e di attivazione del Carbone, il Fosforo normalmente fissato alla struttura delle materie prime, può finire disciolto e qualora tutte le successive operazioni non fossero eseguite in modo corretto, quantità rilevanti di Fosforo presenti nel Carbone attivo, finirebbero in vasca. I Carboni attivi migliori non rilasciano Fosforo, se non in quantità minima.

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Il test va effettuato in questo modo: poniamo 5 grammi di Carbone attivo in un recipiente con due litri d’acqua. Dopo un’ora controlliamo la concentrazione dei Fosfati nell’acqua utilizzando un apposito test colorimetrico.
Il Carbone attivo viene prodotto trattando differenti materiali come la torba, il sangue, lo zucchero e il guscio delle noci di cocco. Quest’ultimo sembra essere il migliore. Su alcune confezioni viene erroneamente riportato che il Carbone attivo è attivato dall’acquariofilo attraverso la semplice sciacquatura del prodotto. In realtà l’attivazione è un processo effettuato industrialmente per esempio attraverso l’uso di vapore a una temperatura di 800°.

Il prodotto finale può avere l’aspetto di pezzi irregolari, cilindretti, polvere o altro. La forma, tuttavia, non riveste un ruolo importante nel valutare la qualità ma è la superficie interna dei micropori a fare la differenza: maggiore è la superficie, tanto più forte sarà la capacità filtrante. La porosità nel Carbone attivo ha dei valori strabilianti: varia dai 400 fino ad arrivare ai 1.500 m2/g. Una volta iniziato il processo di adsorbimento, il Carbone attivo arriverà ad un preciso equilibrio chimico-fisico tra la concentrazione delle sostanze da eliminare ancora presenti nell’acqua e quelle già adsorbite.
Se successivamente viene effettuato anche un semplice cambio d’acqua, questo fattore d’equilibrio viene modificato e il Carbone attivo tenderà a rilasciare una piccolissima parte delle sostanze adsorbite. Ma si tratta comunque di un rilascio di entità trascurabile e di impatto irrilevante sull’acquario.
Una volta saturo, il Carbone attivo si trasforma in substrato per i batteri. Non è tuttavia in grado di eliminare i Nitrati. Semmai può succedere semplicemente che i batteri colonizzatori traggano nutrimento dalla grande quantità di sostanze organiche adsorbite e ripuliscano parte della superficie rendendo il Carbone attivo ancora parzialmente utilizzabile.
Le dimensioni dei pori possono essere divise in tre classi: macropori, mesopori e micropori. La grandezza di un batterio è di 1-10nm, superiore al diametro di un microporo, che è di 0,4-1nm. Non tutta la superficie del Carbone attivo, quindi, è colonizzabile e il processo denitrificante innescato è da considerarsi modesto.

Tutte queste considerazioni confermano che il metodo usato attualmente dalla maggior parte degli acquariofili, cioè di usare il Carbone attivo solo occasionalmente, è il più corretto.

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FILTRO SOTTOSABBIA

Il filtro sottosabbia in un acquario marino.

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Meno di una decina d’anni fa, prima dell’avvento dei moderni acquari “Berlinesi”, il filtro sottosabbia abbinato ad una filtro biologico interno, rappresentava una delle poche tecniche a disposizione dell’acquariofilo marino.
Oggi, alla luce della tecnica attuale, il filtro sottosabbia come sistema di filtraggio appare obsoleto e va scomparendo anche se, per la verità, non è rarissimo osservare qualche acquario dotato di sottosabbia che funziona in modo più che dignitoso.
Il filtro sottosabbia si basa su un principio quanto mai semplice: la sabbia che costituisce il fondo della vasca viene utilizzata come materiale filtrante. Attraverso di essa viene fatta scorrere l’acqua ottenendo così un filtraggio sia di tipo meccanico che biologico.Risultati immagini per filtro sottosabbia acquario marino
Sotto il materiale di fondo, grazie ad un’apposita griglia, viene ricavato uno scomparto nel quale l’acqua della vasca scende attraversando la sabbia e filtrandosi. L’acqua viene poi ripompata in alto attraverso un tubo verticale che pesca nello scomparto del sottosabbia. Il filtro può funzionare attraverso una pompa vera e propria oppure attraverso un aeratore il cui diffusore viene infilato nel tubo verticale.

Il filtro sottosabbia nel dettaglio

Il filtro Sottosabbia è stato uno dei primi filtri utilizzati in acquariofilia. All’epoca le decorazioni degli acquari marini erano costituite da pietre e coralli morti: ambienti sterili in cui era davvero difficile mantenere in vita pesci. Per non parlare di invertebrati.
Uno dei primi utilizzatori di questo filtro fu Robert Straughan. Lo consigliava nel suo libro The Salt Water Aquarium in the Home, all’epoca (era il 1976) uno dei libri più popolari tra gli acquariofili americani. Ma tra di loro sembra che il metodo non desse che risultati mediocri. Al contrario, nell’acquario di Straughan sembrava funzionare piuttosto bene. La spiegazione, vista oggi, è semplice: Robert Straughan utilizzava nella sua vasca acqua marina naturale e, soprattutto, rocce vive. Al contrario, gli acquariofili impiegavano acqua marina artificiale. Straughan, in questo modo, inoculava nell’acquario colonie batteriche prelevate in natura dando vita ad un processo di filtrazione biologica potente ed equilibrato.

Un filtro sottosabbia si realizza disponendo a incastro sul fondo della vasca alcune griglie quadrate di plastica di circa 15 cm di lato. Si tratta di accessori realizzati appositamente per il mercato acquariofilo. Ma non è difficile realizzare da soli una griglia con un rete di plastica rigida da giardinaggio a maglie sottili, tenuta sollevata dal fondo per esempio con degli anelli di tubo in pvc dell’altezza di 15 – 20 mm. Una volta realizzata la struttura in plastica, va fissato su di essa il tubo verticale (di solito di plastica trasparente) che dovrà pescare dallo scomparto del sottosabbia per pompare l’acqua sopra la superficie. L’altezza del tubo deve essere di qualche centimetro superiore al livello dell’acqua. La bocca del tubo fissata sulla griglia deve rimanere rialzata dal vetro del fondo di almeno 10-15 mm.

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Sistemato il tubo, le griglie di plastica vanno coperte con uno strato alto 3 o 4 centimetri di sabbia corallina media e grossa, precedentemente lavata e setacciata per eliminare le pezzature più piccole e per togliere le impurità.
Sopra il tubo di plastica va applicata una pompa per filtri sottosabbia. Oppure possiamo infilare nel tubo il diffusore d’aria di un potente aeratore. Il diffusore va calato nel tubo fino quasi a raggiungere il fondo della vasca. Una volta azionato l’aeratore, le bollicine trascineranno con sé l’acqua dal fondo. Otterremo in questo modo una discreta circolazione d’acqua.
Con il passare delle settimane, soprattutto se inseriremo in vasca anche delle rocce vive, il fondo dell’acquario si popolerà di una miriade di microrganismi e di batteri che con la loro attività daranno vita ad un filtro biologico ossidante.

Al giorno d’oggi il sistema del sottosabbia sta cadendo in disuso perché poco efficiente e perché, soprattutto, presenta il non trascurabile svantaggio di otturarsi facilmente, compromettendo in maniera notevole la resa. Dopo qualche mese di funzionamento, gran parte del fondo è stato otturato dai detriti e non è più in grado di far passare – e quindi filtrare – l’acqua.

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Il filtro sottosabbia può comunque rivelarsi una soluzione vincente nel caso di vasche particolari, nelle quali è sconsigliata la presenza di una forte corrente o di un sistema di filtraggio vigoroso. E’ il caso ad esempio di una vasca destinata solo all’allevamento di microrganismi o, più semplicemente, di cavallucci marini.

Per esperienza posso dire che il filtro sottosabbia è montato nella mia vasca di coralli da sei anni e funziona ancora in modo eccellente. Il metodo tradizionale – come abbiamo visto – presuppone che l’intero fondo della vasca venga ricoperto dalle griglie in plastica. Secondo la mia esperienza, invece, ciò è un errore perché nel corso degli anni compromette la funzionalità del filtro.
Ecco invece il sistema che ho adottato. Premetto che l’acquario in questione è dotato di molte rocce vive e di un comparto con filtro biologico a immersione. Nella parte posteriore della vasca disponiamo le rocce vive e copriamo con queste circa metà della vasca. Nella parte anteriore, invece, posizioniamo le griglie di plastica tanto da coprire circa il 70 per cento della lunghezza. Una pompa con una potenza di 1.200 lt/ora è sufficiente per un filtro sottosabbia lungo 80 cm. Un filtro dalla superficie limitata e facilmente accessibile per la pulizia non s’intaserà mai.

Posso assicurare che questa soluzione contribuisce in maniera sostanziale al filtraggio della vasca. L’unica manutenzione è di cadenza mensile e consiste nel sollevare le prime grate situate vicino all’entrata dell’acqua e ripulirle dai sedimenti che le intasano. L’operazione non richiede più di dieci minuti.

FONDO

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Spesso troviamo vasche che sul fondo non hanno che il vetro stesso, anche chiamate Bare Bottom. Questo evita qualsiasi problema possa emergere a causa della sabbia. Se questa scelta non ci attira particolarmente è però possibile inserire un sottilissimo strato di sabbia, meglio se a vasca matura. La sabbia non è necessaria in quanto il metodo berlinese affida il filtraggio alle rocce vive e non alla sabbia (al contrario, ad esempio, del Deep Sand Bed dove il fondo sabbioso è alla base del metodo).

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REFUGIUM

Il Refugium in  un acquario marino.

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Negli Usa il termine latino “Refugium” è adottato dagli appassionati per indicare una piccola vasca collegata all’acquario principale nella quale una miriade di microrganismi planctonici hanno la possibilità di moltiplicarsi indisturbati, senza la presenza di predatori.
Il Plancton che si sviluppa nel Refugium diventa un ottimo alimento sia per i pesci ma soprattutto per gli invertebrati della vasca principale.
In questo modo, come in natura, gli ospiti dell’acquario hanno costantemente a disposizione microrganismi di cui nutrirsi. Non solo.
Se impostiamo l’illuminazione del Refugium su un fotoperiodo inverso rispetto a quello della vasca principale, avremo un ottimo strumento per contrastare l’abbassamento del pH nelle ore notturne. Senza contare che l’osservare il comportamento degli abitanti del Refugium è interessante quanto l’ammirare la vita di pesci e invertebrati nell’acquario.

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Il Refugium nel dettaglio

Vediamo dunque come si allestisce un Refugium.

  1. Per cominciare serve una piccola vasca di vetro oppure, meglio, di plexiglass alta non meno di una ventina di centimetri. Il volume della vaschetta indicativamente dovrebbe aggirarsi sul 10 per cento di quello dell’acquario. La vasca non deve essere dotata né di riscaldatore, né di filtro. Serve invece una lampada al neon, anche di pochi watt e una pompa di modesta potenza.
    Il Refugium deve avere una portata d’acqua di almeno un quindicesimo rispetto al litraggio totale della vasca grande. Non bisogna essere però troppo parsimoniosi, infatti si può allestire anche un Refugium più grande, a patto di arredarlo e popolarlo come descritto in seguito.
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  2. Il Refugium va collocato più in alto dell’acquario nel senso che il livello dell’acqua deve essere rialzato rispetto a quello della vasca principale. Perché? Presto detto. Il problema tecnico principale del Refugium è far scorrere l’acqua da questo alla vasca principale evitando però di pescare l’acqua dal Refugium attraverso una pompa. Le pale della girante di quest’ultima, infatti, non farebbero che “frullare” i microrganismi planctonici che si sviluppano nella vaschetta. Lo scoglio può essere aggirato in modo molto semplice.
    Si sistema il Refugium su un livello più alto rispetto alla vasca principale (bastano pochi centimetri) e si pesca l’acqua da quest’ultima attraverso una piccola pompa che la versa nel Refugium. Di qui l’acqua torna per tracimazione nella vasca principale. In questo modo assicuriamo il flusso di alimentazione al Refugium senza correre il rischio di danneggiare il Plancton che lo popola. I microrganismi, cadono nella vasca principale attraverso una griglietta di troppo-pieno senza passare attraverso le pale della girante della pompa.

  3. È necessario praticare un taglio nella parete laterale di plexiglass, creando una fessura rettangolare a sviluppo orizzontale, 4-5 cm sotto il bordo superiore: sarà la “bocca” della cascata dalla quale l’acqua scenderà per tracimazione nell’acquario principale.Risultati immagini per refugium acquario marino

  4. Per evitare che gli organismi più grandi come i paguri o simili, vengano trascinati dal Refugium nella vasca grande, davanti alla fessura si incolla con del silicone (atossico) una griglia in pvc (si trova in vendita nei negozi specializzati) oppure della rete in plastica da giardinaggio di maglia sottile (4-5 mm). Occorre lasciare asciugare il silicone per almeno 24 ore.

  5. Il Refugium va quindi sistemato sopra un mobile di robustezza adeguata e va accostato al vetro laterale della vasca principale. È meglio evitare che riceva luce dall’impianto di illuminazione dell’acquario.

  6. In un angolo tranquillo della vasca principale si posiziona una pompa con una portata pari a 2-3 volte il volume del Refugium. La pompa deve essere dotata di griglia per evitare di risucchiare piccoli pesci o invertebrati. Alla pompa va collegato un tubo di gomma che scarica l’acqua in un angolo del Refugium. Il flusso deve essere costante ma non troppo potente.

  7. Sopra la vaschetta va sistemata una lampada al neon. È sufficiente fornire un’illuminazione modesta. Se comandiamo l’accensione e lo spegnimento del neon attraverso un timer, dobbiamo settare gli orari in maniera che la luce sia accesa quando l’illuminazione della vasca principale è spenta. E viceversa. In questo modo nelle ore notturne la respirazione delle alghe che introdurremo nel Refugium (le quali di notte saranno illuminate e dunque produrranno ossigeno) servirà a tamponare l’abbassamento notturno del pH nella vasca principale dovuto alla formazione di CO2.

  8. Nel Refugium vanno introdotti pochi chili di rocce vive di buona qualità, meglio se di provenienza differente. Prima di inserirle nella vaschetta, suggerisco di lasciarle per una settimana in un acquario contenente un Chaetodon kleinii e svariati Lysmata wurdemanni (in inglese “peppermint shrimp”), grandi divoratori di Aiptasia. Nel Refugium le Aiptasia finirebbero per diventare enormi per la quantità di cibo a disposizione.Risultati immagini per refugium acquario marino

  9. Bisogna quindi coprire il fondo con uno strato di almeno 5cm di sabbia corallina di granulometria sottile. L’ideale sarebbe introdurre la (quasi) introvabile sabbia viva. Ma anche la normale sabbia corallina, del resto, in breve tempo verrà colonizzata da batteri aerobi e anaerobi che svolgono la funzione di filtro biologico insieme ai Policheti, ai Nematodi ed agli altri animali che vivono nella sabbia.

  10. Nel Refugium vanno introdotte anche alghe superiori. Ottime le varie specie di Caulerpa. Serviranno a fornire un habitat ideale ai microrganismi e – come accennato – a tamponare l’abbassamento notturno del pH nella vasca principale.

  11. Nel giro di qualche mese, il Refugium si popolerà di una miriade di microrganismi introdotti con le rocce vive: granchi, Branchipodi, Misidacei, Copepodi, Anfipodi, Ostracodi, Gasteropodi, Oligocheti, Policheti, Nematodi, Echinodermi (come piccole stelle marine e ofiure) ed altre centinaia di organismi impossibili da classificare. Possiamo incrementare la fauna del Refugium inserendovi paguri e una coppia di Lysmata. Questi ultimi con facilità giungono alla riproduzione e liberano centinaia di larve nell’acqua. Ricordo infine che il Refugium può essere utilizzato anche per far schiudere le uova di Artemia.Risultati immagini per refugium acquario marino

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POCHI PESCI

Noi acquariofili tendiamo sempre a sovrappopolare le nostre vasche, il metodo Berlinese ci impone di immettere una quantità di pesci minima e, sempre in relazione alla vasca, di piccola taglia.
L’immettere pochi pesci e’ dovuto al non inquinare l’acqua, i pesci volenti o nolenti devono essere cibati e questi sporcheranno l’acqua. Noi, tramite lo schiumatolo e le rocce vive, rimuoviamo gran parte di questa “sporcizia”, quella in eccesso andrà ad accumularsi e solo tramite i cambi d’acqua riusciremo a rimuoverla. Il nostro obbiettivo e’ quello di creare un sistema che mantenga i valori più bassi possibile costantemente ottenendo quindi

un’equilibrio tra quello che immettiamo (mangimi per pesci, cibo per coralli etc.) e quello che rimuoviamo (tramite schiumatoio, cambi d’acqua etc.).

Grazie a schiumatoi sovradimensionati e grazie ad una tecnica migliore, oggi siamo in grado di sopperire ad un carico organico ben superiore rispetto agli anni passati, questo ci permette l’immissione di un numero maggiore di pesci (non di dimensioni maggiori in quanto la dimensione dei pesci viene determinata dalla dimensione della vasca) e’ comunque consigliabile non esagerare. Scegliendo i nostri pesci dobbiamo tenere conto di svariati aspetti, primo tra tutti quali di questi pesci sia compatibile con l’habitat che stiamo ricreando, ovvero in una vasca con coralli SPS difficilmente riusciremo ad allevare pesci che si cibano anche di polipi di corallo…..
Dobbiamo inoltre considerare il fattore spazio, inserire un pesce appartenente alle famiglie dei grandi nuotatori e rinchiuderlo in magari un metro di lunghezza fa si che molto facilmente si indebolisca e si ammali, pesci tipo Acanturus Sohal in una vasca del genere non sono adatti.

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CORALLI

Sceglieteli con cura, perché avete spazio limitato. Quando li posizionate considerate che cresceranno e lasciate loro lo spazio necessario. Detto questo un nanoreef non pregiudica l’inserimento di nessun tipo di corallo, a patto che non diventi troppo grande.

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POSIZIONAMENTO

Un aspetto che spesso viene sottovalutato è la sistemazione dell’impianto. La scelta deve essere ben ponderata perché, una volta allestito, l’acquario non potrà più essere trasferito. Nella scelta dobbiamo tenere conto di vari aspetti: il peso dell’impianto; gli allacciamenti; la quantità di luce naturale diretta che colpisce la vasca; la temperatura estiva del locale; il volume della stanza; l’accessibilità dell’impianto e dei suoi accessori e, per ultimo, l’aspetto estetico.

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Posizionamento di un acquario marino nel dettaglio

Prima di tutto, per il posizionamento di un acquario marino, dobbiamo tenere presente il problema del peso. Chi abita al piano terra non avrà problemi. Viceversa, chi vive in piani rialzati deve ben valutare questo aspetto. Si tenga presente che anche una vasca di dimensioni medio-piccole (300 lt), una volta allestita, raggiunge un peso ragguardevole. Solo l’acqua dell’acquario rappresenta un carico di 3 quintali. Ma a questa va aggiunta l’acqua contenuta nel sump e quella dell’impianto di rabbocco automatico.
A ciò, inoltre, si aggiunge il peso del vetro della vasca, quello delle rocce e della sabbia (il loro peso specifico è superiore a quello dell’acqua) e del mobile. Indicativamente con una vasca di 300 litri potremmo essere sui 4-5 quintali, se non di più. Se invece parliamo di impianti grandi (dai 700-800 litri in su), non ci vuole molto a raggiungere pesi dell’ordine di una o due tonnellate. Attenzione dunque, in ogni caso, alla tenuta della soletta. Se la vasca è piccola sarà sufficiente disporla parallela a un muro maestro. Nel caso di vasche grandi non c’è da scherzare: i danni potrebbero essere gravissimi. Quindi è meglio non rischiare e chiedere lumi a un architetto o a un ingegnere.

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Naturalmente il discorso del peso va tenuto presente anche per quanto riguarda il mobile di supporto. Se è di legno deve avere all’interno un telaio di metallo molto robusto e assolutamente rigido. Se la vasca supera i 150 cm di lunghezza è più sicuro prevedere una quinta gamba al centro del mobile. Una volta riempita la vasca, il complesso mobile-vasca deve essere assolutamente fermo e non ondeggiare nemmeno lievemente né nel senso della lunghezza né della larghezza. Se ciò dovesse succedere è assolutamente indispensabile rivedere la struttura del mobile. Anche in questo caso, non c’è da scherzare: i danni all’appartamento potrebbero essere gravi.
Tra il mobile e la vasca è consigliabile mettere una fetta di polistirolo di 15-20 mm di spessore: servirà ad attutire eventuali vibrazioni e a proteggere la vasca da sollecitazioni dovute ad eventuali irregolarità della superficie del mobile.

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Un altro aspetto da considerare, per il posizionamento di un acquario marino, sono gli allacciamenti. L’acquario deve essere allestito in prossimità di una presa della corrente. Se poi riusciamo ad avere nei paraggi anche un tubo di scarico dell’acqua, ci aiuterebbe non poco. Un lusso da pochi, infine, è avere vicino alla vasca un rubinetto o una semplice presa per l’acqua.

C’è poi da considerare, per il posizionamento di un acquario marino, l’aspetto illuminazione. La luce del sole diretta è nefasta sull’ecosistema acquario, quindi la vasca va posizionata lungo una parete in ombra oppure in una zona della casa dove in nessuna ora del giorno e in nessun giorno dell’anno batte la luce del sole diretta.

La temperatura della stanza avrà un ruolo chiave nei mesi estivi: se abbiamo la fortuna di avere un locale molto fresco (cioé dove anche d’estate non si superano i 20°), forse riusciremo ad evitare di dover installare il refrigeratore.

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Le dimensioni della stanza non sono da trascurare: un acquario aperto ha sempre una notevole evaporazione d’acqua. Se lo posizioniamo in una stanza piccola dove il vapore non si può disperdere su un volume d’aria adeguato, trasformeremo il locale in una sorta di serra tropicale. Nessun problema se ciò avviene in un luogo dedicato esclusivamente all’acquario. Ma se nella stanza abbiamo anche apparecchi elettronici (televisori, computer etc) e strutture in ferro, l’umidità potrebbe causare seri inconvenienti.

L’accessibilità alla vasca ed agli accessori è un altro aspetto fondamentale. Dobbiamo poter raggiungere senza problemi e comodamente ogni angolo dell’impianto (anche il retro della vasca) per operazioni di pulizia, di manutenzione, per sistemare gli accessori, per aggiungere nuove attrezzature. E’ difficile immaginare, in fase di progettazione, tutte le necessità che nel tempo si presentano.

Infine l’estetica. Una soluzione ottimale, per il posizionamento di un acquario marino, è quella di scegliere il salotto, magari di fronte a un divano. L’altezza del mobile va scelta in base alla posizione (eretta o seduta) dalla quale si osserverà l’acquario. Attenzione che se il mobile è di altezza inferiore ai 70 cm può essere difficoltoso alloggiare all’interno qualche accessorio particolarmente alto.

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ARCHITETTURA E DIMENSIONI

Il metodo Berlinese cerca di riprodurre nel modo più naturale possibile l’habitat e i processi bio-chimici della barriera corallina.
Nel progettare un impianto possiamo adottare diverse scelte tecniche, differenti soluzioni strutturali ed estetiche, più o meno efficienti. Ad esempio possiamo utilizzare una sola vasca oppure possiamo allestire una vasca principale corredata da una vaschetta per i filtri (sump). Possiamo utilizzare una vasca da 1.000 litri oppure una da 300. Insomma, c’è di che sbizzarrirsi.
Tuttavia, noi preferiamo illustrare un sistema affidabile e di tipo moderno strutturato su una vasca principale di dimensioni medie (che costituisce l’acquario vero e proprio) sotto la quale viene allestito il sump in modo da poter accedere alla stazione di filtraggio comodamente e senza dover manomettere l’ambiente acquario.
Come iniziare? Primo passo: leggere e documentarsi. Non è neanche pensabile la gestione di una vasca del genere se non si conoscono i rudimenti della tecnica e della biologia di un acquario di barriera. Buttarsi nell’impresa ad occhi chiusi, confidando magari solo ed esclusivamente sulle capacità del negoziante di fiducia o di qualche amico un po’ più esperto, vuol dire – prima o poi – andare incontro a guai. Il che significa soldi (molti) buttati dalla finestra e – quel che è peggio – strage di pesci e invertebrati.
Il primo investimento da fare, dunque, è l’acquisto di buoni libri e la consultazione di qualche ottimo sito sul tema.

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Architettura e dimensioni di un acquario marino nel dettaglio

Una volta che abbiamo cominciato a capire cos’è e come funziona un acquario berlinese, prima di lanciarci nell’allestimento dobbiamo partire da una considerazione: quanti e quali organismi vogliamo ospitare nel nostro acquario di barriera. Deciso questo, saremo in grado di scegliere la vasca delle dimensioni giuste e di abbinare gli accessori adatti.
Considerando le dimensioni medie di pesci e invertebrati e tenendo presente la loro velocità di crescita, è indispensabile che la vasca abbia una capacità di almeno 300 litri. In ogni caso l’altezza non dovrà superare la larghezza. Val la pena di ricordare la regola d’oro: più grande è la vasca e più stabile sarà il sistema. Attenzione però a non esagerare, il costo di un impianto (e della relativa manutenzione) aumenta di pari passo con le sue dimensioni.

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Vediamo da quali componenti è formato un sistema del genere.

  1. Vasca principale. E’ l’acquario vero e proprio ed è dotato di pozzetto di tracimazione. Non ha coperchio né (se possibile) tiranti. Lo spessore dei vetri deve essere adeguato alla struttura. Una possibilità da non sottovalutare è l’acquisto di una vasca in vetro extra-chiaro: ha costi molto più elevati del normale cristallo ma, anche a spessori ragguardevoli, permette di osservare i colori di pesci e invertebrati al naturale.

  2. Sump. E’ posto sotto l’acquario. Attraverso il pozzetto di tracimazione, vi scende l’acqua dalla vasca principale per essere trattata dagli impianti di filtraggio.

  3. Raccorderia in pvc. Tubi, raccordi e rubinetti per l’impianto idraulico. Regola tassativa: l’intero impianto deve essere di materiale plastico atossico.

  4. Pompa di ricircolo. Posizionata nel sump rimanda l’acqua nell’acquario.

  5. Pompe di movimento. Vanno poste nell’acquario e servono a creare flussi di corrente forti e diversificati nella direzione e nel tempo.

  6. Illuminazione HQI. Garantisce una quantità e una qualità di luce abbastanza simile a quella che esiste sul reef.

  7. Schiumatoio. E’ il cuore del sistema berlinese. Sottrae dall’acqua le sostanze organiche prima che si trasformino in composti tossici. Se l’acquario è ben strutturato può benissimo lavorare da solo senza la necessità di essere affiancato da un filtrio biologico.

  8. Reattore di Calcio. Mantiene costante nell’acqua la concentrazione di Calcio necessaria alla crescita dei coralli duri. L’impianto tradizionale è formato da bombola di CO2, camera di reazione, elettrovalvola e controller elettronico del pH.

  9. Riscaldatore. Nei mesi invernali alza la temperatura dell’acqua mantenendola intorno ai 25°.

  10. Refrigeratore. Nei mesi estivi protegge l’acquario da un eccessivo riscaldamento.

  11. Controllers elettronici. Si tratta di apparecchiature elettroniche molto utili per tenere costantemente sotto controllo i principali parametri chimici e fisici dell’acqua.

  12. Osmoregolatore. Garantisce il rabbocco dell’acqua evaporata dall’acquario con acqua d’osmosi.

  13. Rocce vive. Sono il mattone biologico fondamentale dell’acquario di barriera. Se di buona qualità, garantiscono la creazione di un mini-ecosistema equilibrato.

  14. Materiale di fondo. Si può utilizzare sabbia corallina di diversa granulometria. Può andare anche l’Aragonite. L’ideale sarebbe utilizzare sabbia viva ma in Italia è di difficilissima reperibilità. Il fondo deve avere uno spessore adeguato al sistema che abbiamo allestito: da 1 o 2 cm a 5 o 6 cm.

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    Inoltre il sistema può essere dotato di:

    1. Timers. Non sono indispensabili ma molto utili per automatizzare alcune operazioni come ad esempio l’accensione e lo spegnimento delle luci.

    2. Refugium. Affiancato al sump costituisce un “serbatoio” di microrganismi utilissimi all’ecosistema vasca.

    3. Lampade UVb. Un piccolo impianto battericida, anche se da solo non è in grado di risolvere malattie e parassitosi, può aiutare a prevenirle.

    4. Impianto ad osmosi inversa. Permette di avere sempre a disposizione acqua osmotica. E’ una spesa aggiuntiva ma si ammortizza nell’arco di pochi mesi.

    5. Vasca di quarantena. Indispensabile per curare pesci malati.

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